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Messina, truffa per anni genitori di vittima lupara bianca fingendosi il figlio

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I carabinieri della comando provinciale di Messina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto su richiesta della Procura guidata da Emanuele Crescenti, a carico di Francesco Simone, 44enne di Basicò, gravemente indiziato di truffa aggravata nei confronti dei due anziani, genitori di una vittima di lupara bianca il cui corpo non è stato mai rinvenuto. Le indagini sono partite dalle dichiarazioni rese, ai carabinieri della stazione di Montalbano Elicona, da una donna che aveva avuto una relazione sentimentale con l’indagato, che ha raccontato che Simone da oltre 10 anni intratteneva contatti giornalieri con i genitori dello scomparso Domenico Pelleriti, cui aveva fatto credere che il figlio era vivo e viveva al Nord, e gli chiedeva del denaro per cure mediche del figlio stesso. Simone, ha spiegato la donna, camuffava la voce al telefono fingendosi il figlio per convincere gli anziani a consegnargli il denaro, poi lo andava a ritirare alla loro abitazione. Talvolta invece si faceva lasciare il denaro nella cassette della posta di una casa cantoniera.

Le investigazioni, avviate dai carabinieri in sinergia con i militari della compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto, svolte sotto la direzione del sostituto procuratore Rita Barbieri, hanno permesso di fare luce sulla vicenda. Nel luglio del 1993 Domenico Pelleriti è stato vittima di lupara bianca, per mano della mafia barcellonese, e dopo la sua scomparsa il corpo non è mai stato rinvenuto. Su questo delitto ha fatto luce recentemente l’indagine denominata ‘Gotha VI’ svolta dai carabinieri del comando provinciale e della sezione del Ros di Messina, che ha svelato i contorni del delitto del giovane, anche attraverso le dichiarazioni autoaccusatorie di alcuni degli autori del fatto di sangue che hanno iniziato a collaborare con la giustizia, permettendo di risalire ai mandanti, agli esecutori e al movente dell’omicidio. Il giovane, pur non appartenendo alla criminalità organizzata, era coinvolto in un giro di ladri d’auto ed era sospettato di avere compiuto dei furti in un esercizio di vendita di ceramiche che pagava il pizzo alla mafia. I capi della famiglia barcellonese non potevano tollerare che la loro autorità venisse messa in discussione, decidendo di assassinarlo personalmente, con un altro giovane sospettato di avere partecipato ai furti. Con l’aiuto di un complice di Pelleriti, lo hanno attirato in un tranello con una banale scusa e dopo averlo fatto portare in un casolare in campagna lo hanno torturato per fargli confessare il furto, di cui lo incolpavano, senza che ammettesse alcuna responsabilità. Lo hanno poi portato in una fossa che avevano scavato per lui e ucciso con due colpi di pistola alla testa. Il cadavere è stato seppellito in un agrumeto ma le ricerche svolte, a distanza  di anni dal delitto, non hanno consentito di recuperare il corpo, anche in considerazione del fatto che quel terreno era stato in gran parte disboscato e spianato con pesanti escavatori che potrebbero avere disperso i resti.

Simone per oltre un decennio, approfittando del dolore dei coniugi, avrebbe organizzato la messa in scena per indurre gli anziani al pagamento costante di somme di denaro, facendo loro credere che il figlio scomparso fosse invece  vivo e malato, ricoverato in un imprecisato luogo di cura e che dal denaro dei genitori dipendesse la sua sopravvivenza. L’indagine, avviata a seguito delle dichiarazioni ricevute dai carabinieri di Montalbano Elicona, ha permesso di appurare le continue richieste di denaro avanzate dall’indagato, che ha fatto credere agli anziani coniugi, attraverso raggiri ma anche con minacce e violenze psichiche, che il loro figlio fosse realmente in pericolo di vita e che solo grazie al denaro fornito e alla sua intercessione avrebbe ricevuto le cure salvavita.

I genitori hanno creduto che il figlio fosse vivo e in pericolo e che la sua incolumità dipendesse esclusivamente dal loro denaro. Temevano che l’interruzione del rapporto con Francesco Simone avrebbe causato, come conseguenza, l’interruzione del rapporto con il figlio Domenico, malato e in fuga dalla vendetta della mafia. Nell’arco di soli 15 giorni le investigazioni hanno permesso di riscontrare 11 consegne di denaro all’indagato – dell’ordine di 50 o 100 euro ciascuna, fornito coi pochi guadagni dei genitori ottantenni della zia 86enne, sorella della madre, tutti e tre titolari di una piccola pensione da bracciante agricolo.

Le consegne di denaro, proprio come nel racconto della donna, sono avvenute per la maggior parte dei casi davanti l’abitazione dei coniugi, dove l’arrestato, a bordo della sua vettura, li recuperava direttamente abbassando il finestrino dell’auto. In altre occasioni, invece, l’indagato, nel timore di essere seguito dalle forze dell’ordine, faceva nascondere ai coniugi il denaro all’interno di una cassetta postale della casa cantoniera nei pressi di un’abitazione a lui in uso. I coniugi Pelleriti sono stati spogliati di ogni loro bene e denaro, si sono disfatti di un immobile e alcuni terreni e sono stati costretti a contrarre debiti per aderire alle richieste di Simone, che nel corso degli anni gli ha sottratto oltre 200mila euro. Gli anziani, per soddisfare le pretese del truffatore, sono arrivati anche a considerare l’idea di rubare i risparmi della nipote, figlia dello scomparso. In numerose occasioni Simone, dopo aver ricevuto un no alla consegna di altro denaro, pur di giungere al suo scopo telefonava agli anziani e simulava, camuffando la voce, di essere il loro figlio malato terminale e in fin di vita, chiedendo di consegnare i soldi a lui, che era il solo che avrebbe potuto provvedere a recapitarlo ai sanitari che lo assistevano, pena l’interruzione della somministrazione dei farmaci.

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