Trent’anni di reclusione per omicidio aggravato dalla premeditazione. È la richiesta arrivata dalla procura generale nel processo di appello a Manuel Foffo per la morte di Luca Varani, il 23enne seviziato e ucciso la mattina del 4 marzo 2016, in un appartamento in via Igino Giordano, nella periferia est di Roma.
Foffo, reo confesso, è stato condannato in primo grado a trent’anni di detenzione con rito abbreviato. Nella vicenda era coinvolto, con l’accusa di omicidio in concorso, anche Marco Prato, morto suicida nel carcere di Velletri, il 20 giugno scorso, alla vigilia dell’inizio del processo a suo carico.
Secondo la ricostruzione fatta in sede di indagini dalla procura di Roma, i due assassini, “dopo aver fatto entrambi ripetuto uso di sostanze alcoliche e stupefacenti nei giorni antecedenti l’evento”, la notte del 3 marzo, erano usciti dalla casa di Foffo e avevano “girato in macchina per la vie di Roma alla ricerca di un qualsiasi soggetto da uccidere o comunque da aggredire al solo fine di provocargli sofferenze fisiche e togliergli la vita”. Tornati a casa, all’alba del 4, avevano chiamato Varani invitandolo a recarsi nell’appartamento.
Varani, prima di morire, venne colpito dai due un centinaio di volte con martello e coltelli: prima un colpo alla testa, con il quale il giovane, dopo esser stato drogato, fu stordito. Poi il massacro: secondo il referto dell’autopsia, gli assassini si accanirono con martellate su testa e bocca del giovane.
Infine tentarono di strangolarlo con una corda di nylon e subito dopo, con almeno due coltelli da cucina, gli tagliarono la gola aprendola completamente. Il corpo di Luca presentava almeno trenta ferite, meno profonde, su petto e testa che gli erano state inferte forse solo per vederlo soffrire. La vittima morì dissanguata, e solo allora, dopo quasi due ore di sevizie, gli assassini smisero di infierire sul suo corpo.