Otto mesi per rilanciare il Pd prima delle Europee e capire se Maurizio Martina è stata soltanto l’unica scelta possibile in mancanza di un candidato forte renziano o se il nuovo segretario saprà imprimere quella svolta che finora è mancata, traghettando i Dem verso una nuova fase.
L‘assemblea renzicentrica – dominata dal lunghissimo discorso di Renzi – ha eletto l’ex reggente alla guida del partito con pieni poteri. Ma – di fatto – Martina ha già dato una scadenza al proprio mandato, fissando la fine del congresso e le possibili primarie entro le prossime elezioni europee. Quella sarà la prova del nove anche per l’ala renziana del partito, finora sprovvista di una candidatura forte e per questo, si dice, pronta a capitolare – questa volta – sulla candidatura di Martina.
Finora infatti l’unico a essersi fatto avanti è il governatore del Lazio Nicola Zingaretti che, invitato all’assemblea nazionale, ha risposto a margine ai cronisti sulla sua intenzione di candidarsi segretario alle primarie: “Io sono in campo”. È lui l’anti-Renzi ed è sempre lui il candidato per eccellenza di quella sinistra che proviene dai Ds, e non solo. Il governatore inchioda l’ex segretario in una definizione che lascia poco spazio all’immaginazione. Per lui il difetto emerso dal discorso di Matteo Renzi in assemblea consiste nel fatto che “alla fine non si predispone mai all’ascolto degli altri e questo è un grosso limite per un leader“.