La città di San Luca, nella Calabria meridionale, conta solo 4.000 abitanti. Ciononstante, è territorio di ‘ndrangheta. Michele Fiorentino, comandante dei Carabinieri di San Luca, e la sua squadra non solo lavorano ma vivono in un contesto difficile: “Il paese conta circa 3.500-4.000 abitanti. Gran parte di loro ha subito condanne per traffico di droga”, ha dichiarato Fiorentino all’emittente britannica Sky, in un video diffuso dall’Associated Press.
Luigi Di Gioia, comandante dei carabinieri della vicina Plati, afferma che la mafia controlla il territorio. Persino i bidoni della spazzatura riportano i nomi delle famiglie della ‘ndrangheta. Di Gioia ha spiegato ai giornalisti che i locali in motorino sono spesso impiegati dalla mafia per sorvegliare il paese. In una casa nel centro del paese, Di Gioia ha mostrato a Sky un vecchio covo mafioso con un bunker nascosto che conduce a un tunnel attraverso il quale due boss mafiosi hanno cercato di fuggire.
Gli agenti di queste città lavorano quotidianamente nella lotta contro l’organizzazione mafiosa, ma il loro lavoro è reso più difficile dal radicamento e dalla presa secolare che esso ha su comunità come queste. Negli ultimi anni le autorità europee hanno intrapreso una campagna contro la ‘ndrangheta calabrese, che ha eclissato la mafia siciliana come principale mittente di decine di miliardi di euro di cocaina che negli ultimi decenni si sono spostati dal Sud America all’Europa. A maggio, la polizia di tutta Europa ha arrestato decine di persone, fatto irruzione nelle case e sequestrato beni per milioni di euro in un’operazione coordinata di repressione del crimine organizzato. L’operazione, coordinata dall’agenzia di cooperazione giudiziaria dell’Unione Europea Eurojust, mirava a smantellare una rete che comprendeva esponenti della ‘ndrangheta, produttori di droga colombiani e gruppi paramilitari. L’indagine ha scoperto come queste reti utilizzassero i porti dell’Ecuador, di Panama e del Brasile per spedire la droga colombiana nei porti dell’Europa settentrionale, trafficando anche armi. I proventi della droga venivano poi riciclati attraverso ristoranti, gelaterie e autolavaggi, e il denaro veniva rispedito ai produttori di droga colombiani attraverso un servizio di trasferimento bancario cinese, secondo le autorità.