Conviene annotarsi questa data: domenica 27 maggio 2018. Passerà direttamente dalle cronache alla storia d’Italia. Una brutta, bruttissima storia. A memoria d’uomo, non c’è mai stata una crisi istituzionale di queste dimensioni e di questa gravità, così profonda e lacerante, con il presidente della Repubblica che, dopo aver esercitato i suoi diritti costituzionali e aver raccolto la remissione dell’incarico da parte del professor Giuseppe Conte, rischia di finire al centro di un processo di impeachment minacciato da Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia.
Con Luigi Di Maio che punta il dito contro le agenzie di rating e il capo dello Stato, colpevole quest’ultimo di preoccuparsi del rialzo dello spread, del crollo della Borsa e delle conseguenze che tutto ciò potrebbe avere sulle tasche della gente. Con Matteo Salvini che urla di non voler fare lo schiavo e/o il servo dell’Europa e chiede di tornare al voto. Con il Paese scioccato dopo quasi tre mesi di grottesco tira e molla, incapace di immaginarsi non un lieto fine ma anche solo una fine.
Suonano come campane a morto quelle frasi pronunciate da un Mattarella livido: “Il presidente della Repubblica esercita un ruolo di garanzia, non può subire imposizioni”. Ma a che punto siamo arrivati? È vero, il Capo dello Stato ha promesso che prenderà un’iniziativa, e non a caso ha convocato al Colle l’economista Carlo Cottarelli, però a costo di quante lacrime e di quanto sangue?
Cottarelli non ha parentele con Mario Monti, però sta molto attento al portafogli. Il ministero dell’Economia e il nome di Paolo Savona, anti-euro dichiarato (con annesso comunicato stampa), sono stati il punto di rottura tra la presidenza della repubblica e i due partiti del potenziale governo di cambiamento. La posta in palio non è mai stata una persona o una personalità ma ciò che avrebbe rappresentato dall’interno verso l’esterno, cioè verso la Ue. Ora: se davvero si dovesse andare alle elezioni in autunno, il pericolo che la chiamata alle urne si trasformi in un referendum camuffato sull’euro è altissimo. A naso non possiamo permettercelo, perché restiamo un Paese fragile. Ma sempre Mattarella ha voluto aprire la discussione: quest’Europa non ci/vi va bene? Discutiamone, però apertamente. Sapendo a quale conseguenze potremmo andare incontro, Brexit dixit.
Intanto ci attendono scadenze internazionali importantissime, dal G7 a metà giugno, al summit Ue (si parlerà di conti e di migranti), al vertice Nato, alla legge di bilancio. Possiamo andarci senza un governo, senza tregua politica, senza la più friabile delle certezze, senza una luce in fondo al tunnel? Mai come adesso ci vogliono testa fredda e buonsenso. Chi li possiede è pregato di usarli.