L’Ungheria si prepara a votare, domenica 8 aprile, nelle elezioni legislative in cui il primo ministro Viktor Orban cercherà di ottenere il quarto mandato dal 1998, il terzo consecutivo. Secondo la maggior parte dei sondaggi, il leader del partito Fidesz raggiungerà il suo obiettivo con circa il 50% dei voti, staccando il partito nazionalista di estrema destra Jobbik, i socialisti e altri piccoli partiti di sinistra e verdi. La sua Ungheria è nota fuori dai propri confini per essere tra i promotori della profonda frattura all’interno dell’Unione europea, tra i Paesi membri occidentali e quelli orientali. Orban, con le sue posizioni controverse e intransigenti, si è guadagnato dai critici il soprannome di ‘Viktator’ e l’etichetta di illiberale.
È stato il principale difensore della chiusura delle frontiere europee e di un muro con cui blindarle dall’ingresso dei migranti, nel nome del pericolo di trasformare la nazione in un “caos” se diventasse un “Paese di immigrati”. Prima, nel 2013, era già stato promotore di una riforma costituzionale che aveva colpito i principi dello Stato di diritto e nel 2015 ha proposto di reintrodurre la pena di morte, dando un’altra accettata alle relazioni con l’Ue. Ora dice di volere un nuovo mandato per rendere “irreversibili” i cambiamenti da lui promossi dal 2010. Orban si era fatto conoscere come strenuo oppositore dei totalitarismi e del comunismo alla fine degli anni ’80.
Nel 1989, nella piazza degli Eroi di Budapest parlò al funerale delle 3mila vittime di una ribellione anticomunista del 1956. Il 26enne dai capelli lunghi, che aveva studiato Diritto e guidava l’ala giovanile di Fidesz, era pressoché sconosciuto e davanti alla folla tenne un discorso a favore della democrazia. E si guadagnò la fama di oppositore radicale del comunismo. Il partito Fidesz di Orban è stato creato nel 1988 come movimento liberale, capace di attirare i giovani e a favore della democrazia parlamentare.
A fine anni ’90, Orban cominciò a ‘spostare’ sempre più il partito per sfruttare il vuoto creatosi a destra. Il primo mandato da premier per Orban è arrivato alle elezioni del 1998, quando aveva 35 anni. Aveva poi invece perso nel 2002, in un voto che aveva bollato come “rubatogli” dai socialisti, contro cui aveva esacerbato la sua retorica. Torna al potere nel 2010, sotto la mannaia della crisi economica e ottenendo una maggioranza così forte da consentirgli di cementare il potere del suo partito in tutte le istituzioni. Approva una riforma costituzionale e riforme legali con cui centralizzare potere politico ed economico a livelli sconosciuti dalla caduta del comunismo. Misure che gli valsero il biasimo dell’Ue, preoccupata per l’indipendenza della magistratura e la pressione sui media. Si guadagnò il soprannome di ‘Viktator’ e venne apostrofato, seppur scherzosamente, come dittatore dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. Le sue posizioni nazionaliste hanno avuto forte presa su una vasta fetta di elettorato.
Di fronte ai grandi temi che hanno messo in crisi l’Europa, dall’economia ai migranti, al terrorismo, Orban ha saputo canalizzare lo scontento e le paure nel sempreverde ‘mito’ della difesa dell’identità nazionale. In nome di questo il suo governo, seppur democraticamente eletto, ha messo all’angolo i mezzi di comunicazione, ristretto i margini d’azione dei gruppi per i diritti civili e dei tribunali, rifiutato il multiculturalismo. “Non vogliamo che il nostro colore si mischi con altri”, ha detto a febbraio. Tanto che l’Alto commissario dei diritti umani Onu, Zeid Ra’ad Al Hussein, lo ha definito “xenofobo e razzista”, scatenando una guerra di parole. Dopo la terza rielezione nel 2014, con la crisi migratoria del 2015 Budapest è diventata capofila del blocco esteuropeo che guarda all’immigrazione come a una minaccia e che si è opposto alle politiche di accoglienza e di Bruxelles. In nome, ancora, dell’identità nazionale concepita come unità etnica, di tradizioni, linguistica e religiosa. Orban ha adottato una durissima retorica contro i profughi che, dice, non sono altro che futuri terroristi e minacciano “i valori cristiani dell’Europa”. Arriva a costruire una barriera di separazione al confine meridionale per interrompere la cosiddetta rotta balcanica, a opporsi alle quote decise da Bruxelles sull’accoglienza dei richiedenti asilo e a organizzare un referendum su di esse nel 2016 (non valido per mancato quorum).
Orban accusa Ue, Onu, il finanziere ungaro-americano George Soros e altri di cospirare per indebolire la nazione e la sua essenza cristiana. Inoltre, mentre ha accumulato scandali legati a corruzione e gestione delle risorse pubbliche, il governo si è avvicinato alla Russia di Vladimir Putin e ha assunto una posizione anti-elitaria, anti-establishment e anti-europea, dicendo di volersi liberare dei suoi “dogmi”. Strizzando l’occhio ai vari populisti, oltre che alle estreme destre, d’Europa. Tra i suoi simpatizzanti ci sono la Lega di Matteo Salvini in Italia, la francese Marine Le Pen, il Partito della libertà austriaco, l’Afd tedesco, l’ex leader dell’Ukip britannico Nigel Farage.