Piazza gremita davanti alla chiesa Maria Santissima Regina di Tecchiena Castello, in frazione di Alatri, in provincia di Frosinone, per i funerali di Emanuele Morganti, il ventenne picchiato a morte dal branco venerdì scorso. Palloncini e striscioni sono stati allestiti per dare l’ultimo saluto al giovane, portato in spalla dagli amici in un feretro bianco. ‘Nessuno muore mai completamente – recita uno dei manifesti -. Rimarrai sempre vivo dentro di noi’. “Quante domande ci siamo fatti in questi giorni. Il signore dov’era quando Emanuele era pestato a sangue? Quante volte possiamo accusare Dio di ‘assenza’, di omissione di soccorso. Ma la sua invisibilità fa appello alla nostra fede. ‘Io sono la resurrezione’, dice Dio. Se credete vedrete la gloria di Dio. La fede è la condizione che Dio ci chiede. Le esequie di Emanuele ci interpellano sulla nostra capacità di amare. Ecco chi vince la morte: è l’amore”, le parole del vescovo di Anagni-Alatri, monsignor Lorenzo Loppa, nell’omelia.
“Non sono abituato a battere le mani sul petto degli altri – ha aggiunto -. Come stiamo accompagnando questi giovani alla vita? Chiediamocelo e non dimentichiamo che siamo cristiani. La forza straordinaria della Pasqua è l’opera di trasformare il mondo, così noi dobbiamo passare dal sentimento di vendetta uno di misericordia e alla responsabilità. Gesù è venuto non per insegnarci ad accettare la morte, ma per amare la vita. C’è un solo modo per far finire la violenza: è non rispondere con la violenza. Perché la violenza prospera sulla violenza”.
“Grazie per le parole del vescovo, che ci invita a salvare i nostri ragazzi dalle inquietudini. Ringrazio tutti voi per ogni vostra lacrima, perché le mie non sarebbero bastate. Dio non ha chiamato Emanuele perché era cattivo, l’ha solo ricevuto dalla cattiveria degli uomini, Dio l’ha accolto”, ha dichiarato commossa Lucia, madre di Emanuele Morganti.
Intanto ieri, per quasi cinque ore, Mario Castagnacci, accusato con Paolo Palmisani dell’omicidio di Emanuele Morganti, ha parlato con il procuratore di Frosinone, Giuseppe De Falco, negando di aver aggredito il ventenne morto domenica scorsa. Castagnacci, 27 anni cuoco con precedenti per spaccio di droga, insieme a Palmisani risponde di omicidio volontario aggravato da futili motivi, e davanti a De Falco ha ammesso la sua presenza in piazza, ad Alatri, la notte dell’aggressione, cui dice di aver solo assistito senza parteciparvi. Gli inquirenti non ritengono credibile la sua ricostruzione e, anzi, considerano schiaccianti le testimonianze a carico suo e di Palmisani. Davanti alla gip Anna Maria Gavoni, i due si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e per entrambi è stato convalidato il fermo ed è stata emessa l’ordinanza di custodia cautelare. I due fratelli restano a Regina Coeli, mentre proseguono le indagini degli inquirenti, convinti che altre persone abbiano avuto pesanti responsabilità nell’omicidio.
L’autopsia sul corpo della vittima ha confermato che il ragazzo è stato colpito con un oggetto contundente e con ferocia tale da fracassargli il cranio e rompergli le vertebre cervicali. Oltre a Palmisani e Castagnacci, fermato per droga e subito rilasciato il giorno prima dell’aggressione, cinque persone restano indagate nell’ambito dell’inchiesta: per la maggior parte si tratta di addetti alla sicurezza del locale Mirò di Alatri, sequestrato dopo la tragedia, dove Emanuele era andato con la fidanzata e gli amici la notte in cui venne picchiato a morte. Tra i tasselli fondamentali che mancano per ricomporre ogni aspetto dell’omicidio c’è il movente: una delle ipotesi è che i due fermati abbiano ridotto in fin di vita il giovane per dare “una prova di forza”, per dimostrare, nella piazza centrale di Alatri, la loro violenza criminale.
L’altra incognita è legata al nesso tra il pestaggio e il diverbio avuto, non più di quindici minuti prima, da Emanuele al bancone del bar del Mirò dove, nel fare la fila per chiedere un cocktail, il giovane ha discusso con un uomo, ubriaco. I buttafuori hanno cacciato Emanuele dalla discoteca, senza dir nulla all’ubriaco, e poco dopo esser uscito il ragazzo è stato aggredito una prima volta. Poi è fuggito, forse è stato seguito, e qualche minuto dopo è tornato nei pressi del locale, dove probabilmente voleva ricongiungersi con la fidanzata. A quel punto è stato colpito di nuovo, questa volta con un arnese di ferro mai trovato, che ne ha determinato la morte. Il ragazzo è deceduto domenica, dopo quasi due giorni di agonia, in un letto dell’Umberto I di Roma. È arrivato in elisoccorso al policlinico della capitale in condizioni già disperate. Subito è stato sottoposto a un intervento chirurgico per provare a ridurre le lesioni alla testa causate dai colpi ricevuti. L’operazione non è bastata a salvargli la vita e, quando è arrivata la fine, i suoi genitori hanno dato il consenso alla donazione degli organi.