Era proprio ieri che si parlava di giocatori che fanno la differenza nel bene e nel male. In un Mondiale capita spesso di parlare di arbitri che pregiudicano una partita con i loro errori, più raramente di attaccanti che si sbranano occasioni favorevolissime. Ieri, quasi a voler esaltare l’anima nera e l’anima bianca di un ruolo fondamentale, quello del portiere, abbiamo avuto due esempi clamorosi: quello di Ochoa, il portiere del Messico che con cinque interventi decisivi ha negato il gol al Brasile e quello del russo Akinfeev che nonostante tutta la sua lunga esperienza è caduto in un errore infantile e ha favorito il pareggio della Corea del Sud.
Giusto per ricordarci che un Mondiale è pressione, stress, tensione: paura più che emozione. Per gli esordienti come per i professionisti più esperti e navigati. La Russia, una fase finale del Mondiale ogni dodici anni, è scivolata su una delle bucce di banana più classiche del torneo più importante del mondo: la papera del portiere pur giocando una gara globalmente consistente. Si tratta del primo pareggio russo in una fase finale del Mondiale in 12 partite (sette sconfitte) che conferma una certa tendenza della formazione di Capello a perdersi nei tornei più importanti.
Il Brasile… ha sicuramente espresso meglio e di più che contro la Croazia: ma restano molti dubbi su una formazione che Felipe Scolari insiste a schierare con Fred attaccante centrale e che ieri ha dovuto fare a meno anche di Hulk, bloccato dai problemi muscolari. Il Messico, con il suo centrocampo aggressivo e ingolfato, ha fatto capire come si può bloccare la qualità brasiliana affidata più all’individualità che al collettivo: e a tutto il resto ci ha pensato Ochoa, che da otto anni (ne aveva venti) ha il ruolo di portiere della nazionale con oltre sessanta presenze ed è riuscito per la prima volta in un’impresa in cui nessun suo connazionale aveva avuto successo: mantenere la porta inviolata. Al Mondiale contro il Messico il Brasile aveva sempre vinto e sempre segnato. Fino a ieri…