In questi giorni un calciatore di Serie A in attività mi ha detto: “Invecchiano i giocatori, ma i dirigenti non invecchiano mai?”.
La risposta la sta dando il campionato. Mai come nella stagione in corso, ad esempio, la pratica dell’esonero del tecnico aveva prodotto effetti altrettanto negativi. Almeno sulla breve distanza, quella del “contraccolpo psicologico immediato”. A Palermo, Genova (Samp), Carpi (dove Castori è stato prima cacciato e poi richiamato) e Livorno (Verona non la si può ancora considerare: lì hanno tenuto fin che hanno potuto) chi è stato licenziato ha fatto – almeno inizialmente – molto meglio di chi è subentrato. Solo a Bologna le cose sono andate diversamente, ma a Bologna il problema era fin troppo evidente (Donadoni ha dato un senso compiuto alla squadra).
Esemplare il caso di Palermo dove la ragione dell’esonero non è stata la “mancanza di entusiasmo” dell’allenatore, bensì la diversità di vedute tra Iachini e Zamparini: il presidente voleva i giovani (da lanciare e poi vendere: ci può stare), mentre il tecnico inseguiva una comoda salvezza anche attraverso l’esperienza dei vari Maresca e Rigoni, che non a caso oggi sono fuori squadra.
Diverso è il discorso sampdoriano: Ferrero e i suoi hanno ascoltato una piazza che non aveva mai amato, né considerato Zenga, e partendo dalla sopravvalutazione della rosa si sono incartati pur prendendo un signor allenatore, Montella.
Cambiare per cambiare non serve a nulla, da una classifica apparentemente mediocre si esce insieme e poi, diciamolo, quando i presidenti credono di capire di calcio e della squadra molto più degli allenatori che essi stessi hanno scelto, il guaio grosso è inevitabile.
Ivan Zazzaroni
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