Possiamo anche scaricare la colpa addosso al Moreno di turno, o al dentista di Suarez. Ma la verità è che lasciamo il Mondiale anche per il pallore di una squadra nazionale che tutto sommato riflette quella che è la realtà calcistica e sportiva del nostro paese. Un paese diviso, litigioso, in crisi economica che ha fatto del calcio un motivo di sfogo più che di cultura e che è anni luce lontano da quanto si costruisce in paesi superiori al nostro, come la Germania, culturalmente più evoluti, come l’Olanda o il Belgio dove si è investito con intelligenza sulle leve giovanili, o addirittura inferiori per storia e tradizione come la Svizzera.
La seconda eliminazione consecutiva da una fase a gironi di un Mondiale, pur intervallato da un ottimo secondo posto all’Europeo, significa che il ciclo italiano, è vittima dei suoi paradossi e dei suoi giochi di potere. Ma anche dei vuoti di potere. Dell’incapacità di crescere, evolversi, aggiornarsi, costruire: pensando che solo organizzando un Mondiale o niente meno che un’Olimpiade il gap con chi ci sta davanti può essere colmato.
Ho avvertito una certa rassegnazione da parte dei tifosi italiani dopo l’eliminazione subita dall’Uruguay: un po’ come se tutti se la aspettassero. O comunque se si giudicasse legittima la qualificazione dei sudamericani di fronte a una squadra che ci veniva presentata come unita e coesa e che poi nel momento nell’eliminazione tanta unità non l’ha dimostrata trincerandosi nel solito tutti contro tutti.
Ho trovato le dimissioni di Prandelli e quelle di Abete un atto responsabile ma soprattutto dovuto. Persino sorprendente in un paese come il nostro dove alla necessità del cambiamento anteponiamo la tutela del privilegio e dello status quo. Ma sarà un gesto inutile se andremo avanti con il solito teatrino e con le solite stanchezze che portano la Nazionale a essere considerato orpello o addirittura fastidio. Dispiace per Prandelli, persona seria che ha commesso l’errore di scommettere molto su giocatori che non l’hanno completamente ripagato (Balotelli su tutti) e per pochi altri.
Tutto sommato la compunta rassegnazione con cui l’italiano medio ha preso questo mondiale che finisce alla terza partita è la reazione più giusta. Ci sono cose più importanti: e il calcio ha comunque bisogno di cose più importanti, e forse di un rinnovamento vero e più serio.