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Bramini non si arrende: “Politica ascolti la rabbia, sarò consulente del governo”

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

“Mia moglie questa notte si è sentita male, nessuno di noi ha dormito. Hanno voluto punirmi per dare l’esempio, ma non mi arrenderò”. Sergio Bramini è provato, arrabbiato, ma non sconfitto. Sono passate meno di 24 ore da quando gli ufficiali giudiziari lo hanno allontanato dalla sua casa di Monza e i fabbri hanno messo i lucchetti agli ingressi. Bramini, che in settimana ha ricevuto le visite e la solidarietà, tra gli altri, di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, è diventato celebre per aver dovuto dichiarare fallimento nonostante un credito nei confronti della pubblica amministrazione di diversi milioni di euro. “Ho dovuto lasciare casa mia, dopo 27 anni. Ho fatto fallimento nonostante vantassi crediti per 4 milioni con la pubblica amministrazione”, spiega. “Sono andato io stesso a portare i libri contabili, perché non mi restavano nemmeno i soldi per affrontare la causa legale”. “Non avrei mai pensato di arrivare a 71 anni a subire una tale umiliazione”, confessa Bramini, che ha ancora negli occhi “un dispiegamento di forze costosissimo, come se avessero dovuto prendere Totò Riina, e non una persone inoffensiva”. Dopo lo sfratto lui e la sua famiglia si sono trasferiti in un appartamento in affitto: “Siamo andati vicino alla scuola di mia nipote, non volevo che soffrisse troppo per questa situazione”.

Nei giorni convulsi delle trattative tra Lega e M5S per la formazione di un nuovo governo, l’imprenditore monzese è finito al centro dei riflettori per avere ricevuto le visite dei leader dei due movimenti.
“Matteo Salvini l’ho incontrato un anno e mezzo fa, quando ero uno sconosciuto”, precisa Bramini. “Dopo che mi ero esposto pubblicamente, mettendomi con un cartello al collo davanti al tribunale di Milano, Salvini ha scritto in post in cui diceva ‘onore a Sergio Bramini’. In seguito mi ha voluto incontrare”, racconta. Ma l’imprenditore non si schiera con nessun partito. “Con Salvini c’è un rapporto che non è legato a una mia appartenenza politica. Io non sono della Lega e nemmeno del Movimento 5 Stelle. Avrei parlato volentieri anche con il Pd, anzi avevo chiesto aiuto anche a loro. Minniti però mi ha risposto che non si poteva fare niente, che non poteva aiutarmi”.

Ora i partiti del nascituro ‘governo del cambiamento’ promettono una ‘legge Bramini‘ per impedire procedure esecutive ai danni di cittadini il cui fallimento è causato da ritardi o mancati pagamenti da parte di enti pubblici. E all’imprenditore hanno fatto una proposta: “Mi hanno offerto di occuparmi di questo problema come consulente. Di Maio è stato il primo a farmi questa offerta, e Salvini ha confermato la stessa volontà. Volevano una persona che avesse vissuto in prima persona questo calvario”. Lui ha accettato: “Già mi occupo degli altri. Con l’associazione ‘Favor debitoris’ ho visto la disperazione di tanti. Imprenditori che sono finiti a consumare droghe o alcol, che hanno tentato il suicidio”.

Bramini non si è pentito di essersi messo così tanto in gioco. “Per come sono fatto, non mi sarei mai esposto in questo modo. Ma se non fossi andato in televisione non avrei avuto nessuna voce, e forse mi avrebbero cacciato ancora prima”. Ora il suo progetto è quello di “riunire le associazioni che si occupano della questione in tutta Italia”. Il Paese, avverte, “deve affrontare la questione, se non vogliamo che la gente si ribelli. Perché ci sono migliaia di figli, come i miei, che covano rabbia e odio”.

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