Il Mondiale torna in Brasile dopo 64 anni: e i brasiliani giustamente vedono le streghe. Perché il ricordo del Maracanazo, la sconfitta da parte dell’Uruguay nella finalissima che assegnava l’allora Coppa Rimet, è un ricordo ancora indelebile in un paese che associa a quell’evento una delle pagine più tristi della propria storia.
Se il Mondiale in Sud Africa era quello dell’incertezza, della poca sicurezza e dei timori per l’ordine pubblico, anche se poi tutti ricordiamo bene che lo svolgimento della manifestazione fu senza alcuna conseguenza e che tutto andò regolarmente, il Mondiale brasiliano è quella della dicotomia di un paese che da una parte vuole scuole, ospedale, servizi: e dall’altra si ritrova con contributi a pioggia per stadi che forse non avrebbe voluto. Il Brasile non è più il paese del panem et circenses e la voce di dissenso all’interno di tutta la confederazione è stata molto forte e sentita. Perché il paese è cresciuto non solo sotto l’aspetto della mentalità ma anche sotto quello dei bisogno della gente: che per la stragrande maggioranza della popolazione porta ancora ai beni di prima necessità.
Ma il richiamo del calcio per il Brasile e della Seleçao è troppo forte: anche se questa non è la formazione verde oro più forte di sempre, anche se i tempi di Pelé sembrano lontanissimi, anche se alcune esibizioni della formazione non hanno galvanizzato il pubblico e nemmeno entusiasmato il paese. A dare coraggio al paese, a tenere lontano un nuovo Maracanazo è la recente vittoria nella Confederations Cup che ha visto il Brasile conquistare il trofeo, prova generale del Mondiale e la sensazione che comunque tutte le volte che la Seleçao fa il suo ingresso il campo il paese si ferma e trattiene il respiro in attesa di dimostrare tutta la sua straordinaria integrazione e il suo meraviglioso fascino cosmopolita.
Brasile favorito d’obbligo: con Germania, Spagna e Argentina subito alle spalle e con un folto gruppo di outsider tra le quali anche l’Italia.
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