L’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, interpellato da LaPresse, torna a parlare del Pd e del futuro del centrosinistra prima del congresso Dem e dopo l’esperienza in piazza San Babila a Milano dove la sinistra si è riunita per un giorno.
E’ d’accordo con le parole di Walter Veltroni?
“Condivido la profondità dell’analisi di Walter Veltroni perché per una volta si è andati oltre l’ombelico italiano dello scontro con Renzi e si è considerato un raggio più ampio che fotografa la sconfitta dei progressisti in Europa e nel mondo. Dopo di che, il mio pensiero si distacca da quello di Veltroni. Io leggo le sue parole come un invito a creare un fronte più ampio: per me il Pd deve sciogliersi in un soggetto dai confini più estesi, mentre per Veltroni no”.
Quindi lei è per un nuovo partito allargato?
“Io sono per una lista elettorale che poi diventi un partito. Non una coalizione fatta di alleanze interne ma un’unica lista elettorale da cui, in seguito, nasca un nuovo partito progressista”.
La sua idea ha trovato riscontri interni?
“Tutti erano convinti di fare questa operazione se si fosse tornati a stretto giro alle urne”.
E i cugini di LeU?
“Io penso che Liberi e Uguali abbia concluso la sua fase. Dopo di che, ci sono personalità come Enrico Rossi che possono dare importanti contributi. Si tratta di coinvolgere mondi e modi di pensare, non singoli partiti o movimenti”.
Il Pd arriverà alla prossima scadenza elettorale?
“No, secondo me arriverà con un nuovo nome e un nuovo simbolo. Almeno, io me lo auguro. Altrimenti le Europee saranno una nuova sconfitta”.
Il Pd ha uno zoccolo duro del 18% ma il tutti contro tutti interno al partito rischia di disperderlo. Che fare?
“Per questo è urgente il congresso. E’ inaccettabile che si tiri avanti con un accordo fra renziani in attesa del terzo avvento di Renzi e anti renziani che aspettano di allearsi con il M5S. Serve uscire da questo stallo, anche con un chiarimento brutale. In caso contrario, se il congresso verrà fatto in questi termini, l’esito più probabile è la vittoria di Zingaretti, persona che stimo molto ma che non vedo nel ruolo di segretario”.
Al momento però a parte Zingaretti e forse Martina non si vedono altri candidati segretari alle prossime – eventuali – primarie.
“Quello che conta, a mio avviso, salterà fuori tre mesi prima delle elezioni europee quando si capirà se il Pd ci andrà senza allargare il suo campo d’azione – e in quel caso l’elettorato non ci seguirà – oppure con un nuovo progetto. Allora potranno emergere anche altre personalità”.
Il centrosinistra si è dato appuntamento pochi giorni fa a Milano in piazza San Babila per difendere valori come l’accoglienza e l’Europa unita. Si deve ripartire da lì?
“No. Io giudico senz’altro in modo positivo l’esperienza di San Babila, ma se lei mi chiede quale dev’essere il punto di partenza per un nuovo centrosinistra io le rispondo che non è quello. Non è la sinistra che combatte contro qualcosa quella che può riconquistare l’elettorato perduto. E’ un lavoro più faticoso, fatto non tanto di piazza e di simboli quanto di sintesi di idee”.
E quali sono queste idee da cui il centrosinistra deve ripartire?
“Serve un New Deal che vada a toccare tre livelli: il potenziamento dell’uomo attraverso la formazione culturale, l’efficienza dello Stato e una struttura fiscale più equa. Occorre un piano per l’educazione: tempo pieno in ogni scuola e dottorati post laurea per tutti. Perché abbiamo capito che l’analfabetismo culturale è il primo rischio mortale per la democrazia. Servono politiche fiscali redistributive: non si può premiare tutti allo stesso modo, vanno premiate soltanto le imprese che investono (come abbiamo cercato di fare con Industria 4.0) e diciamo sì ai bonus fiscali per l’impiego a tempo indeterminato perché abbiamo visto che funzionano. Terzo, la riqualificazione della Pubblica amministrazione. Va potenziata e rafforzata attraverso un’azione diretta che non significa nazionalizzazione”.