In ben 11 regioni italiane è stata superata la soglia del 30% di occupazione delle terapie intensive per via dell’epidemia di Covid-19. E’ quanto emerge dal monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe nella settimana 4-10 novembre: rispetto alla precedente si conferma l’incremento nel trend dei nuovi casi (235.634 vs 195.051), sia per il lieve aumento dei casi testati (872.026 vs 817.717), sia per l’incremento del rapporto positivi/casi testati (27% vs 23,9%). Crescono del 41,1% i casi attualmente positivi (590.110 vs 418.142) e, sul fronte degli ospedali, si registra un ulteriore aumento dei pazienti ricoverati con sintomi (28.633 vs 21.114) e in terapia intensiva (2.971 vs 2.225); incrementano del 70% i decessi (2.918 vs 1.712).
In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni: decessi 2.918 (+70,4%), terapia intensiva +746 (+33,5%), ricoverati con sintomi +7.519 (+35,6%), nuovi casi 235.634 (+31%), casi attualmente positivi +171.968 (+41,1%), casi testati +54.309 (+6,6%), tamponi totali +121.410 (+9,1%).
Rispetto alla settimana precedente in quasi tutte le Regioni si rileva un lieve rallentamento dell’incremento percentuale dei casi che potrebbe dipendere sia dall’effetto delle misure di contenimento introdotte a fine ottobre, sia dalla saturazione della capacità di testing, visto che i casi attualmente positivi continuano ad aumentare ovunque. Destano particolare preoccupazione i tassi di occupazione ospedalieri: in 16 Regioni è stata superata la soglia di saturazione del 40% dei posti letto in area medica e in 11 Regioni quella del 30% per le terapie intensive.
Impennata dei contagi tra operatori sanitari. Negli ultimi 30 giorni si sono verificati 19.217 contagi di operatori sanitari, rispetto ai 1.650 dei 30 giorni precedenti. “Oltre al rischio di focolai ospedalieri, in Rsa e in ambienti protetti, preoccupa l’impatto sul personale sanitario, già in carenza di organico oltre che provato dalla prima ondata”, afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
Cambiare sistema di monitoraggio: è inadeguato. “In questa fase di drammatica crescita dei contagi, rapida saturazione degli ospedali e impennata dei decessi, il sistema di monitoraggio che informa le decisioni politiche secondo il Dpcm del 3 novembre 2020 non è uno strumento decisionale adeguato. È tecnicamente complesso, soggetto a numerosi passaggi istituzionali, risente di varie stratificazioni normative, attribuisce un ruolo preponderante all’indice Rt che presenta numerosi limiti e, soprattutto, fotografa un quadro relativo a 2-3 settimane prima. Ovvero, usando lo specchietto retrovisore, invece del binocolo, si rallenta la tempestività e l’entità delle misure per contenere la curva epidemica. Senza un immediato cambio di rotta sui criteri di valutazione e sulle corrispondenti restrizioni, solo un lockdown totale potrà evitare il collasso definitivo degli ospedali e l’eccesso di mortalità, anche nei pazienti non COVID-19″. Così Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
“L’attribuzione dei colori alle Regioni – ha spiegato Cartabellotta – viene effettuata utilizzando due parametri principali: lo scenario identificato dai valori dell’indice Rt e la classificazione del rischio attraverso i 21 indicatori del Dm 30 aprile 2020. Tuttavia, il valore di Rt è inappropriato per informare decisioni rapide perché, oltre ad essere stimato sui contagi di 2-3 settimane fa, presenta numerosi limiti”. In particolare, sottolinea la Fondazione Gimbe, Rt viene stimato solo sui casi sintomatici, circa 1/3 dei casi totali; si basa sulla data inizio sintomi che molte Regioni non comunicano per il 100% dei casi, determinando una sottostima dell’indice; è strettamente dipendente dalla qualità e tempestività dei dati inviati dalle Regioni; quando i casi sono pochi, rischia di sovrastimare la diffusione del contagio.