La fortuna di Tatiana e Andra Bucci, deportate ad Auschwitz-Birkenau, fu di essere scambiate per gemelle: vennero così tenute in vita per essere usate come cavie degli esperimenti di Josef Mengele e sono tra i pochi a sopravviverne.
In occasione del Giorno della Memoria, Tatiana e Andra, i cui veri nomi di battesimo sono Liliana e Alessandra, ripercorrono, nella sede del Consiglio regionale della Liguria, le tappe della loro esperienza, i mesi di prigionia, le difficoltà legate a una nuova condizione in cui si erano ritrovate, loro malgrado a vivere.
Tatiana e Andra finirono nella ‘baracca dei bambini’. “Ci siamo abituate a quella nuova vita, che in realtà non era vita perché la morte ci circondava, perché erano scheletri quelli che vedevamo tutti i giorni e non lontano dal nostro blocco – spiegano – c’era una baracca sempre aperta dove venivano portati i cadaveri recuperati nel resto del campo durante la notte. Noi intorno a quegli scheletri giocavamo senza essere neanche impressionati da quello che vedevamo perché ci eravamo costruiti, senza rendercene conto, una corazza per affrontare quella realtà. Questa è stata anche la nostra salvezza”.
Tatiana e Andra sono nate a Fiume da padre cattolico e mamma ebrea. La famiglia della loro madre, Mira Perlow, originaria della Bielorussia, si era trasferita a Fiume agli inizi del Novecento per sfuggire ai progrom zaristi. É da quella città che quando avevano 4 e 6 anni furono deportate, insieme con il cugino Sergio De Simone, nato a Napoli nel ’37. Il piccolo fu l’unico italiano tra i 20 bambini di diverse nazionalità che furono selezionati come cavie umane per gli esperimenti di Kurt Heissmeyer nel campo di concentramento di Neuengamme, ad Amburgo.
Resta vivo il senso di colpa per aver allontanato la loro madre, divenuta irriconoscibile per le atrocità del campo di concentramento: “Quando poteva la mamma veniva a trovarci ma, come tutti gli adulti, era smagrita, senza capelli e non eravamo abituate a vederla in quelle condizioni, così iniziò a farci paura e non ci facevamo neanche toccare. Ancora adesso fa male ripensare a quel nostro rifiuto, ma quella non era vita”, spiegano.
Anche dopo la liberazione dal campo di concentramento, la sorte non è stata favorevole con loro. Il loro peregrinare è durato oltre un anno: prima a Praga, poi in Gran Bretagna fino al ritorno in Italia e all’incontro con i genitori. Ma il dramma della famiglia Bucci non era finito: Il passaggio di Istria, Dalmazia e Slovenia alla nuova Repubblica Jugoslava in quel periodo stava avviando l’esodo di migliaia di italiani. “Oltre che deportate eravamo diventate anche esuli e noi siamo stati accolti in Italia – ricordano – come si stanno accogliendo oggi i migranti”.
Oggi, Tatiana e Andra sono nonne attaccate alla vita: “I nostri nipoti sono la prova vivente che noi ce l’abbiamo fatta e che non siamo state annientate, come qualcuno avrebbe voluto, perché la vita continua e, nonostante tutto, è bella”.