Siamo molto lontani dalla preistoria nella quale si guardava agli Stati Uniti come a una sorta di oggetto misterioso del calcio: nel paese dove la cultura sportiva domina la cultura e popolare e di massa in modo quasi professionistico già da scuola superiore e università, il calcio ha sempre fatto fatica. Ma, ed è un dato di fatto, gli Stati Uniti sono una costante della fase finale di qualsiasi mondiale perché la loro Major League è cresciuta, perché le università hanno cominciato a investire seriamente anche nei programmi del soccer e il calcio non è più visto solo come uno sport femminile.
Ma in questa edizione del Mondiale gli USA sono chiamati a un’impresa quasi impossibile: il Gruppo G nel quale la sorte ha deciso di inserirli li vede vaso di coccio contro il panzer Germania, il Portogallo di Cristiano Ronaldo e il Ghana che in questo momento si può considerare la squadra africana più ricca di talento e di qualità.
Gli USA tuttavia si presentano al Mondiale forti di un ottimo ruolino di marcia nelle amichevoli e con un successo per 2-1 sulla Nigeria (anch’essa finalista al Mondiale) grazie al suo bomber, Jozy Altidore (nella foto in un’amichevole contro l’Italia) e all’esperto portiere Tim Howard che ha festeggiato la sua centesima presenza in nazionale con alcune parate d’eccezione. La squadra gioca bene, ha una sua identità, alcune individualità interessanti e una certa duttilità tattica che porta gli Yankees allenati da Jurgen Klinsmann a giocare indiferentemente e con grande facilità di adattamento sia con il 4-4-2 che con 4-5-1.
Non una meteora e nemmeno una curiosità aneddotica: ormai gli U.S.A. sono una realtà consolidata del calcio internazionale. Forse che questa volta sono semplicemente capitati in un girone probabilmente impossibile per loro e forse anche per squadre più titolate che hanno avuto maggiore benevolenza dall’urna dei sorteggi.
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