Il fuoco cova sotto la cenere, nel M5S. Dopo la ‘bomba atomica’ sganciata venerdì scorso da Beppe Grillo sul tetto ai due mandati come “pilastro fisso”, serve una mediazione per evitare caos e diaspore pericolose. Il corpaccione pentastellato è diviso, forse si aspettava un approccio diverso al tema più spinoso della discussione interna, in vista del nuovo corso affidato a Giuseppe Conte, con un’impostazione più vicina a quella di un partito. Ma l’intervento a gamba tesa del garante e co-fondatore ha rimescolato le carte. Nelle chat, ma anche nei discorsi informali, deputati e senatori ci scherzano su, ma nemmeno troppo: c’è chi è pronto a scommettere caffè o spritz sul numero esatto di portavoce che molleranno i gruppi parlamentari per traslocare in altre forze politiche, altri che profetizzano l’invasione delle correnti, decretando la fine – di fatto – del Movimento.
Il caos è silenzioso ma regna sovrano, insomma. E spetta all’ex premier trovare una soluzione, in fretta possibilmente. Secondo quanto apprende LaPresse, sono diverse le ipotesi su cui starebbe lavorando Conte per tenere compatta la base (legata alle regole delle origini) senza perdere quel ‘tesoretto’ di visibilità accumulata in questi anni da alcuni portavoce, che spesso si traduce in consensi. L’idea sarebbe quella di proporre al voto degli iscritti – su Rousseau, se si troverà un accordo con Davide Casaleggio, o attraverso una piattaforma tutta nuova – una proroga di almeno una legislatura per chi ha ricoperto ruoli di governo e sottogoverno, esteso a presidenti e vice presidenti delle Camere e presidenti di commissioni parlamentari. Il rischio, però, è che la base possa percepire questa soluzione come un ‘salvacondotto’ per una élite ristretta. Dunque un boomerang.
Ecco perché, spiegano sempre le fonti, un’altra ipotesi sul tavolo di Conte sarebbe quella che in forma grezza viene presentata come il ‘meccanismo dei frontman’. Ovvero, concedere a chi ha ricoperto ruoli di peso nell’ultima legislatura di candidarsi in una competizione interna, con voto online, in cui i più votati sarebbero scelti come capilista nei collegi delle città capoluogo di regione alle prossime elezioni politiche. Dunque, posti limitati che imporrebbero una scrematura con una sorta di ‘criterio meritocratico’ in pieno stile da democrazia diretta. Il problema, in questo caso, sarebbe la legge elettorale, perché la discussione è ancora ferma in Parlamento tra chi vorrebbe il proporzionale e chi il ritorno al maggioritario. E non è cosa da poco, perché il sistema potrebbe anche prevedere una tutela in più per le ‘new entry’: qualora l’unico eletto della lista fosse proprio il portavoce ‘esperto’, dovrebbe rinunciare al posto e far scattare chi viene dopo di lui. Fattibile in caso di collegi proporzionale, impossibile per quelli uninominali.
Sul piatto, quindi, prende sempre più quota la terza ipotesi. Una regola elaborata negli anni d’oro del grillismo, ma finora poco sfruttata: il ‘recall’, ovvero la possibilità per gli iscritti di ‘revocare’ la nomina di un parlamentare. Con tanto di penale da almeno 150-200 mila euro. Potrebbe essere la chiave di volta per consentire ai parlamentari arrivati a fine del secondo mandato di rientrare in gioco. A meno che Grillo non decida di impuntarsi, anche a rischio di andare al muro contro muro con un pezzo di Movimento. Eventualità che al comico genovese potrebbe anche non spaventare.