Ultimo atto di Barack Obama a meno di un mese dalla fine del suo mandato. La sua amministrazione ha infatti deciso per una storica astensione nel voto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu in cui si chiedeva l’interruzione degli insediamenti di Israele in territorio palestinese, ignorando le direttive del presidente eletto Donald Trump che nei giorni scorsi ha cercato di fermare la votazione su pressione di Israele stesso. In una presa di posizione storica, gli Stati Uniti hanno rinunciato a porre il veto in un testo che condanna fortemente le politiche di Israele in Cisgiordania: con l’astensione di Washington, il documento è stato approvato dai 14 su 15 membri del Consiglio.
LE PRESSIONI DI ISRAELE E TRUMP – L’approvazione della risoluzione 2334 ha posto fine a quasi due giorni di frenetica attività diplomatica da parte di Israele e in cui lo stesso Trump è entrato a gamba tesa nella sfera internazionale senza aspettare di assumere ufficialmente la presidenza statunitense, il 20 gennaio prossimo. Il tutto è iniziato nella notte di mercoledì scorso, quando l’Egitto ha chiesto al Consiglio di sicurezza di votare, il giorno successivo, un testo preparato in tre mesi di consultazioni con altri paesi arabi.
Immediatamente Israele ha iniziato a muoversi sollecitando l’intervento degli Stati Uniti, suo grande e storico alleato, perchè ponesse il veto per fermare il testo di condanna. A questo si è aggiunto pubblicamente Trump, che al momento sembra allineato alla destra israeliana per tutto quello che riguarda il conflitto in Medioriente. Il magnate ha quindi fatto pressioni sul governo egiziano e, dopo una conversazione telefonica con il presidente Abdel Fatah al Sisi, è riuscito a fare in modo che il documento venisse ritirato: l’Egitto ha infatti chiesto di rinviare il voto. Tuttavia, quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Venezuela, Nuova Zelanda, Malesia e Senegal) hanno ripresentato il documento imponendo la votazione di ieri sera.
Secondo fonti diplomatiche, gli Stati Uniti si sono mostrati in privato disposti a permettere l’approvazione della risoluzione, ultima opportunità prima dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio. La mossa diventa così una storica eredità lasciata da Obama, che negli ultimi mesi aveva indurito il tono contro la costruzione di colonie nel mezzo di un rapporto già teso con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Molti Paesi hanno infatti sottolineato il carattere storico della risoluzione, una sensazione confermata dall’entusiasmo seguito all’approvazione in un’aula in cui, di norma, è vietato applaudire.
LA RISOLUZIONE – Il testo pretende che Israele cessi la sua politica di insendiamenti nei territori palestinesi, inclusa Gerusalemme est, e insiste sul fatto che soluzione del conflitto in Medioriente passi per la creazione di uno Stato palestinese che conviva insieme a Israele. Questa via, tuttavia, si legge nel testo, è posta in pericolo dall’espansione delle colonie, che stanno arrivando a una “realtà di Stato”. Secondo la risoluzione, gli insediamenti “costituiscono una flagrante violazione del diritto internazionale e un grande ostacolo per costruire la soluzione dei due stati, così come una pace giusta, duratura e completa”.
Inoltre, il Consiglio ribadisce che non riconoscerà alcuna modifica alle linee tracciate nel 1967 salvo diverso accordo tra le due parti attraverso i negoziati. Così, condanna “tutte le misure volte ad alterare la composizione demografica, il carattere e lo stato del territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, in cui accadono confische e demolizioni di case palestinesi. Allo stesso tempo, il massimo organo decisionale dell’Onu chiede misure per prevenire “tutti gli atti di violenza contro i civili, inclusi atti di terrorismo, così come tutti gli atti di provocazione e distruzione” e condanna l’incitamento all’odio.
LE REAZIONI – Dopo il voto, Israele ha già fatto sapere che non intende rispettare la risoluzione. “Israele rifiuta questa risoluzione vergognosa e anti-israeliana dell’Onu e non rispetterà i suoi termini”, ha dichiarato ieri sera il premier Netanyahu, accusando l’amministrazione Obama di aver ordito le trame della ‘dietro le quinte’. Dal canto suo Washington ha difeso la propria posizione spiegando che la risoluzione non fa altro che ribadire una posizione che mantiene da tempo e condivisa da quasi la totalità della comunità internazionale. “Gli Stati Uniti hanno inviato sia privatamente che pubblicamente per quasi cinque decenni il messaggio che le colonie devono cessare di esistere”, ha spiegato l’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha Power che ha aggiunto: “Non si può simultaneamente difendere l’espansione degli insediamenti e difendere la soluzione praticabile dei due Stati per arrivare alla fine del conflitto. Si doveva fare una scelta tra colonie e separazione”.
La risoluzione è la prima adottata dal Consiglio di Sicurezza sul conflitto israelo-palestinese dal 2009 e arriva in un momento in cui il processo di pace sembra completamente bloccato. Dopo lunghe trattative, la sua approvazione è stata accelerata dall’avanzamento del progetto di legge nel Parlamento israeliano che intende legalizzare in modo retroattivo le colonie ebraiche in Cisgiordania. Appare poco probabile comunque che il testo provochi da subito reali cambiamenti, ma la condanna di Israele ha un forte carattere simbolico.