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Nomine, privatizzazioni e fusioni: le eredità scomode di Renzi

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La fine del governo di Matteo Renzi arriva nel momento più delicato sul fronte economico. Oltre alla necessaria approvazione della legge di bilancio entro dicembre, nei primi mesi del 2017 arrivano a scadenza i consigli di amministrazione di tutte le principali società con primo azionista lo Stato. Tornano così in ballo anche quotazioni, le dismissioni, e fusioni programmate nei prossimi mesi ed anni.

ENI. Il cda del gruppo petrolifero fu rivoluzionato nel 2013 da Renzi. Via Giuseppe Recchi, approdato poi in Telecom, e via soprattutto Paolo Scaroni. Al loro posto arrivarono Emma Marcegaglia e Claudio Descalzi, che già lavorava al vertice del cane a sei zampe. Da allora è stato portato avanti un profondo ridisegno del gruppo, che però ha cozzato con il crollo delle quotazioni del petrolio rendendo molto meno brillante la performance di Eni. Sul futuro di Descalzi, pesavano varie incognite legate proprio ai rapporti con l’inquilino di palazzo Chigi, nonostante ciò il manager in più occasioni si è detto disponibile a restare. Non si è invece ancora invece espressa la presidente.

ENEL. Francesco Starace ha presentato da poche settimane il nuovo piano industriale, che accelera la trasformazione del gruppo che lui stesso ha avviato, partendo dalle attività in Sudamerica e focalizzando il business sulle energie rinnovabili. Un triennio positivo quello del manager romano, macchiato solo dalle dichiarazioni rilasciate davanti agli studenti della Luiss il 14 aprile scorso, quando spiegò che per cambiare un’organizzazione aziendale “bisogna creare malessere e poi colpire le persone che si oppongono al cambiamento in modo da suscitare paura nell’intera organizzazione”. Arrivarono le scuse di Starace e l’indicente fu ricomposto. Sereno il triennio della presidente Maria Patrizia Greco.

POSTE. E’ passato poco più di un anno dalla quotazione in Borsa di Poste. Il cda però è ancora quello nominato nel 2014 dall’allora neopremier Matteo Renzi. All’epoca la società era interamente pubblica, e bastò la nomina di 5 membri. Da allora sono diventati 9, sempre con presidente Luisa Todini e a.d. Francesco Caio. Dopo la quotazione non si esclude la vendita di una ulteriore quota. Sul fronte finanziario proprio oggi la cordata con Cdp e Anima per acquisire Pioneer da Unicredit, è stata esclusa dalla trattativa, che proseguirà in esclusiva con il solo fondo francese Amundi.

FINMECCANICA. Mauro Moretti era stato nel 2014 il nome di punta tra quelli scelti da Renzi, che lo spostò dalle Fs. Da allora il titolo ha iniziato una forte risalita, ed oggi quota tra i 12 ed i 13 euro, quasi il doppio di 3 anni fa. Dal 2017 la società si chiamerà Leonardo, ridotti i settori in cui opera il gruppo, mantenendo il rapporto con la Difesa Usa tramite Drs, inizialmente destinata alla cessione. Sul presidente Gianni De Gennaro, alcune polemiche al momento della nomina, poi rientrate. Moretti è disponibile ad andare avanti.

TERNA. Nominato nel 2014, Matteo Del Fante era nel cda di Terna dal 2008, ed in questi 3 anni ha fatto registrare un rendimento complessivo a due cifre per l’azionista, con un Tsr (Total Shareholder Return) pari a +18,3%. L’anno scorso sono stati superati i 2 miliardi di fatturato, ed è stata completata l’acquisizione della rete elettrica di Ferrovie dello Stato per 757 milioni di euro. Del Fante è pronto a proseguire la sua esperienza, così ccome la presidente Catia Bastoli.

FS. Il rinnovo dei vertici è qui avvenuto a fine 2015. Dopo Michele Mario Elia, che subentrò a Moretti nel 2014, c’è ora Renato Mazzoncini. A lui è stata affidata la sfida di quotare il gruppo in Borsa. L’operazione è stata rimandata varie volte, l’ultima roadmap prevede lo sbarco a Piazza Affari nella seconda metà del 2017. Mazzoncini sin dal 2012 era noto a Renzi, avendo curato da a.d. di Busitalia Sita Nord, controllata da Fs, l’acquisizione della maggioranza dell’azienda di trasporti fiorentina (Ataf). Da poche settimane ha presentato un nuovo piano industriale, che va anche oltre la scadenza del suo mandato, fissata nel 2018 dopo l’approvazione del bilancio 2017. Presidente del gruppo è Gioia Ghezzi, anche lei in scadenza nel 2018.

ANAS. Anas è la società su cui l’esecutivo Renzi ha lavorato di più, arrivando ad ipotizzare una fusione con Fs. Al momento sono al lavoro vari tavoli tecnici, l’obiettivo era integrare strade, trasporto su gomma e su rotaia. Il progetto, su cui il presidente Gianni Vittorio Armani si è speso in questi mesi, ora potrebbe arenarsi. Nominato a metà 2015, Armani subentrò a Pietro Ciucci.

CONFINDUSTRIA. La caduta di Matteo Renzi coinvolge anche l’associazione degli industriali, anche se indirettamente. Vincenzo Boccia si è infatti speso pesantemente, come non mai si lamentano i critici, a favore del ‘sì’ per il referendum. La vittoria del ‘no’, insieme alle difficoltà nel riequilibrio dei conti de ‘il Sole 24 Ore’, hanno già reso il prossimo consiglio generale di viale dell’Astronomia, un evento caldissimo. La sfiducia non è contemplata nello statuto, ma certo per Boccia non sarà una riunione facile.

FINCANTIERI. Renzi si è trovato la quotazione del 2014 già pronta ed apparecchiata. Nel 2016 il rinnovo dei vertici, con Giampiero Massolo che diventa presidente, e l’a.d. Giuseppe Bono confermato. Una gestione non semplice, per un gruppo globale che ha stretto nei 3 anni del governo Renzi accordi di sviluppo in Cina, i cui frutti arriveranno dal 2017.

CDP. Last but not least, la Cassa depositi e prestiti, ha rinnovato i suoi vertici a luglio 2015 con Claudio Costamagna che ha preso il posto di Franco Bassanini, e Fabio Gallia nuovo amministratore delegato. La Cdp è stata al centro di tutte le principali operazioni del Governo Renzi, ed ha rappresentato una specie di banca cui l’esecutivo si è rivolto ogni spesso negli oltre 1000 giorni a Palazzo Chigi. Il prossimo governo non potrà fare altrimenti.

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