Spesso Luigi Di Maio e Matteo Salvini ripetono che, una volta chiusa la campagna elettorale per le europee, i toni scenderanno. Quello che nessuno dei due vicepremier può assicurare, però, è che lo strascico di questo continuo, incessante cannoneggiamento reciproco non produrrà insanabili fratture nelle truppe parlamentari. Ormai non ci provano nemmeno più a salvare le apparenze, da Lega e M5S ammettono che la frizione è scappata a entrambi, puntualizzando – ognuno da par suo – che a esagerare è stato l’alleato.
Il più arrabbiato sembra essere il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio. O almeno è il primo che pubblicamente, con la sua viva voce, ha detto che “per alcuni di noi, me compreso, sarà molto difficile trovare margini di recupero visto che il M5S ci ha accusato di essere peggio della peggior tangentopoli”. Aggiungendo, con un’espressione ‘colorita’ ma efficace, che “col cavolo” i Cinquestelle sono amici: “Colleghi, si tratta solo di colleghi”. Anche nell’ala pentastellata più favorevole all’intesa con Salvini, però, la delusione è palpabile.
In meno di un anno l’incanto è svanito, soprattutto nelle truppe meridionali del M5S, quelle che hanno sempre spinto per l’ipotesi di formare il governo con la Lega. Non ci sarà alcun ammutinamento sui provvedimenti che arriveranno da Palazzo Chigi, ma a differenza dei primi mesi di legislatura – promettono a riflettori spenti – “ora gli occhi non li chiuderemo più su certe misure”. Il riferimento più frequente è al decreto Sicurezza bis, il cui iter a Camera e Senato non sarà più così agevole come accaduto con la prima versione della legge. I Cinquestelle arrivarono al punto di mettere alla porta il senatore Gregorio De Falco e di spingere fin sull’uscio anche ‘veterani’ come Paola Nugnes, Matteo Mantero ed Elena Fattori, che avevano sollevato più di un dubbio sulla bontà del testo firmato da Matteo Salvini. Quei tempi “sono lontani anni luce”, assicurano adesso dal mondo 5 stelle: “Il signor ministro dell’Interno non avrà più vita facile”.
Allo stesso modo l’insofferenza dei leghisti nei confronti dei ‘colleghi’ di maggioranza potrebbe riversarsi sui provvedimenti di natura economica, come il decreto Famiglia, rischiando di attivare poi un meccanismo di fuoco incrociato che travolgerebbe anche le Autonomie, la flat tax, la riforma del sistema delle nomine nella sanità pubblica o il salario minimo orario. Provvedimenti considerati fondamentali dai due leader delle forze di maggioranza. E su cui si regge (ancora) l’accordo di governo.