“In democrazia nessuno è spettatore specialmente quando ci si trova in una situazione difficile come la nostra”. Andrea Orlando, ministro della Giustizia uscente, su Radio Capital parla del Pd post-voto e sulla futura formazione del governo. “Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’esito delle elezioni è una collocazione all’opposizione. Ma opposizione significa cose diverse, una collocazione contemplativa o un ruolo attivo, sulla base di punti precisi che si possono realizzare dall’opposizione. L’idea dei pop corn non mi piace”.
Sull’apertura del Movimento 5 Stelle ai dem, Orlando ha dei dubbi: “Credo che bisogna apprezzare quando i toni cambiano perché i toni usati contro il Pd, in questi anni, hanno avvelenato il dibattito e la vita pubblica. Che questo poi porti fatti concreti è un altro discorso. Ho dei forti dubbi però che ci siano condizioni di collaborazione, se non la possibilità di convergere su singoli punti”.
In una intervista a Repubblica, Orlando ha spiegato di non aver “mai avuto paura del dialogo, ma la decisione compete a Martina. Il Pd non deve avere timore degli incontri. Nella chiarezza, ovvio. Di Maio però dovrebbe prima scoprire le carte davanti al Paese se vuole trasformare il risultato elettorale in una proposta che abbia un minimo di credibilità”. Secondo il ministro della Giustizia uscente, l’apertura del Movimento verso il Pd “è apparsa strumentale nel senso che non aveva contenuti. Il suo ragionamento acquisirebbe una diversa serietà se il leader grillino esplicitasse il merito del contratto e soprattutto chiudesse a un’alleanza con la Lega“. Per essere autentica, l’apertura del M5S doveva “prendere le distanze da Salvini sui temi dell’immigrazione, respingere l’ipotesi della flat tax che è il contrario della domanda di redistribuzione della ricchezza emersa dal voto. Non dico che cambierebbe la posizione del Pd, ma dal tatticismo passeremmo alla sostanza”.
Per Orlando “il partito prima deve provare a costruire una piattaforma programmatica, mi interessa poco se il segretario lo elegge l’assemblea o le primarie, basta che quando si arriva al Congresso sia stato fatto quel lavoro. Credo sia più semplice farlo attraverso l’assemblea che elegge un segretario, ma a patto che non sia un elemento di divisione”.