I giganti sui quali facciamo affidamento sono ormai soprattutto quelli della tecnologia, il cui strapotere eclissa ormai ampiamente quello dei grandi nomi della vecchia economia. In rigoroso ordine di piazzamento, a occupare le prime cinque posizioni della classifica dei marchi con la maggiore influenza sulle vite dei consumatori italiani sono infatti Google, Whatsapp, Amazon, Facebook e Samsung. Se proprio si vuole uscire dall’ambito tech, bisogna arrivare fino in fondo alla “top 10”: al decimo posto, per la precisione, dove dietro a Apple, Youtube e Mastercard fa la sua comparsa Nutella. L’indagine ‘Most Influential Brands 2017’, promossa e condotta per il secondo anno da Ipsos, non certifica però solo la pervasività di social e digital. Ne attesta anche la trasversalità, analizzando nello specifico le motivazioni che stanno dietro alle scelte in termini di marca di due segmenti anagrafici ben precisi: i “Millenials”, cioè i venti-trentenni, e i “Boomers”, ovvero i cinquanta-sessantenni.
“Di fatto le differenze tra questi due target sono più miti che realtà”, premette dati alla mano la ceo di Ipsos Italia, Jennifer Hubber, “nel senso che molti comportamenti si assomigliano”. Questo non vuol dire però che nel profondo non vi siano divergenze, anche significative. A partire dall’utilizzo che i due gruppi fanno degli stessi prodotti. Un esempio tipico è quello dello smartphone, oggetto feticcio per entrambe le fasce di età. “I Millenials lo utilizzano per chattare, i Boomers principalmente per parlare”, rileva Hubber. Le modalità attraverso le quali si arriva a scegliere una marca piuttosto che l’altra, rappresentano poi un secondo punto di frattura generazionale: “Mentre i Millenials tendono ad affidarsi moltissimo alle recensioni e ai consigli peer-to-peer, i Boomers sono più sensibili alle marche storiche o ancorate alla tradizione”. E se i giovani sono tipicamente più attenti ai prezzi, la generazione dei loro genitori mostra una maggiore apertura di fronte a proposte innovative che giocano soprattutto sulla qualità, come nel caso dei prodotti “bio” o “senza”.
Come detto, i brand di riferimento di ventenni e cinquantenni sono grossomodo gli stessi: per i primi il podio è formato da Google, Amazon e Whatsapp, per i secondi da Whatsap, Google e Microsoft (con Amazon quarta). Segno di consumi in larga parte sovrapponibili finché si sta nell’area – dominante – del digitale. Scendendo un po’ nelle rispettive classifiche, però, le differenze vengono a galla. E così, tra il settimo e l’ottavo posto, per i più giovani troviamo Nutella, Ryanair e Ikea. Mentre tra l’ottavo e il decimo, per i più maturi, fanno capolino Coop, Parmigiano Reggiano e Grana Padano. “I Boomers hanno un’attenzione superiore all’area alimentare, anche per quanto riguarda i singoli ingredienti”, conferma Hubber, “i Millenials tendono invece a cercare di più il servizio. Che per l’alimentare, nello specifico, vuol dire take away e consegna a casa di pasti”. Quello che non cambia, a conti fatti, è però il modo in cui un brand deve lavorare per guadagnarsi un posto al sole. “Bisogna puntare sulla fiducia”, conclude la manager, “e la fiducia si costruisce attraverso la trasparenza di un rapporto che è atteso essere sempre più paritario, sempre più simile a un dialogo tra la marca e il consumatore”.