Il 2016 ha visto crescere la quota di residenti in Italia a rischio povertà o esclusione sociale, salita al 30% dal precedente 28,7%. Lo rileva l’Istat, segnalando come ad aumentare siano sia l’incidenza di individui a rischio di povertà (20,6%, dal 19,9%) sia la quota di quanti vivono in famiglie gravemente deprivate (12,1% da 11,5%), sia quella delle persone che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (12,8%, da 11,7%). Nel complesso, le persone a rischio in Italia sono oltre 18 milioni.
A livello geografico il Mezzogiorno resta l’area territoriale più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale (46,9%, in lieve crescita dal 46,4% del 2015). Il rischio è minore, sebbene in aumento, nel Nord-ovest (21,0% da 18,5%) e nel Nord-est (17,1% da 15,9%). Nel Centro un quarto della popolazione (25,1%) permane in tale condizione. Dal punto di vista demografico, invece, le famiglie con cinque o più componenti si confermano le più esposte al rischio di povertà o esclusione sociale (43,7% come nel 2015), ma è per quelle con uno o due componenti che questo indicatore peggiora (per le prime sale al 34,9% dal 31,6%, per le seconde al 25,2% dal 22,4%).
Per quanto riguarda il capitolo redditi, l’Italia presenta una disuguaglianza maggiore rispetto alla media dei Paesi europei. Con un indice di Gini – tra i principali indicatori utilizzati per misurare questo fenomeno – pari a 0,331, l’Italia occupa la ventesima posizione tra i Paesi della Ue (esclusa l’Irlanda, per la quale il dato non è disponibile), che a sua volta presenta una media dello 0,307. Distribuzioni del reddito più diseguali rispetto all’Italia si rilevano in altri Paesi dell’area mediterranea quali Portogallo (0,339), Grecia (0,343) e Spagna (0,345).
Il 20% più povero della popolazione italiana, inoltre, dispone soltanto del 6,3% dei redditi totali, mentre il quinto più ricco ne possiede quasi il 40%. In pratica, il reddito totale dei più benestanti è pari a 6,3 volte quello dei meno abbienti.
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