“Le indagini non devono finire mai, non ci dobbiamo arrendere. Vedremo se ci saranno ulteriori riscontri su questa ‘pista nera‘ che non contrasta con il quadro di una convergenza di interessi, di questa simbiosi tra politica e mafia e anche di interessi prettamente politici”. Queste le parole del presidente del Senato, Pietro Grasso, in visita a Palermo in occasione della cerimonia in memoria di Piersanti Mattarella, ex presidente della Regione Sicilia e fratello del presidente della Repubblica, assassinato 38 anni fa. “Ancora non si è riusciti dopo tanti anni ad individuare i killer che hanno compiuto l’omicidio”, aggiunge ricordando come nella sua carriera di magistrato non abbia “mai perso l’occasione di chiedere particolari su questo fatto a tutti i collaboratori che ho potuto interrogare”.
“Piersanti Mattarella voleva liberare la Sicilia dal giogo mafioso, proponendo un modello di governo trasparente ed efficace. Il suo esempio è ancora un punto di riferimento per chi sceglie di impegnarsi nell’interesse della collettività”.
D’accordo con Grasso sull’importanza di continuare ad indagare per arrivare alla verita è Rosy Bindi. “A 38 anni dal brutale assassinio di Piersanti Mattarella – dichiara la presidente della commissione Antimafia – restano aperti ancora tanti interrogativi ma non dobbiamo stancarci di cercare la verità su una pagina tragica della storia d’Italia. Un delitto politico mafioso che troncò la vita di un riformatore lungimirante e rigoroso, un uomo giusto che aveva inaugurato una stagione di rinnovamento nel governo della Sicilia nel segno della buona politica. Il suo sacrificio ci interpella a distanza di tanti anni sulla effettiva nostra determinazione a contrastare la corruzione e i poteri mafiosi, ed è una preziosa eredità a cui attingere nell’impegno a esercitare le responsabilità pubbliche nell’interesse generale e al servizio del bene comune”.
LA ‘PISTA NERA’. A riaprire il caso dell’omicidio, secondo quanto scritto da ‘Repubblica’ ieri in una articolo, è una targa rubata. Un nuovo spunto che ridà slancio alla ‘pista nera’ già seguita da Giovanni Falcone che viene ripresa dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, pista di killer neofascisti mandati giù in Sicilia per fare un omicidio che è sempre stato attribuito alla regia di Cosa nostra. Il sicario, mai identificato, sparò con una pistola a Piersanti Mattarella e poi fuggì, salendo su una Fiat 127 dove l’aspettava un complice. In questi ultimi mesi, scrive ‘Repubblica’, c’è stata un’intensa attività investigativa. Tra le informazioni all’esame dei magistrati gli spezzoni di una targa di un’auto che venne ritrovata il 26 ottobre del 1982 in un covo dell’estrema destra a Torino dove si era nascosto negli anni precedenti il latitante di ‘Terza Posizione’ Fabrizio Zani. In un appartamento di via Monte Asolone, i carabinieri trovarono due targhe automobilistiche tagliate. Un primo spezzone aveva la sigla PA (come Palermo) e il secondo PA 563091. Sono gli stessi numeri, ma composti diversamente, rimasti agli assassini di Piersanti Mattarella, che avevano utilizzato due targhe rubate per camuffare la Fiat 127 del delitto.
Cosa avevano fatto i killer di Palermo? Il giorno prima dell’omicidio, avevano prelevato la 127 targata PA 536623. E sempre quel giorno, il 5 gennaio 1980, avevano asportato da una Fiat 124 una targa con questa sigla: PA 540916. Poi avevano costruito una nuova targa, con i numeri delle altre due: PA 546623, rimasta attaccata alla Fiat 127 abbandonata dopo il delitto. Dunque, ai sicari erano rimasti questi spezzoni: PA 53 della prima targa e 0916 della seconda. PA 530916. A Torino, invece, i carabinieri trovarono nel covo nero: PA 563091. Come se l’ultimo numero, il 6, fosse stato spostato di posizione e inserito subito dopo il 5 iniziale. “Una coincidenza che ha aspetti di stupefacente singolarità” , scriveva già nel 1989 il giudice Loris D’Ambrosio, grande esperto di indagini sui neofascisti, in quegli anni in servizio all’Alto Commissariato antimafia. Il giudice D’Ambrosio compilò un corposo dossier sul delitto Mattarella partendo proprio da quelle targhe (“L’esito dell’accertamento appare di rilievo”) e avanzando l’ipotesi che ad uccidere il presidente della Regione fossero stati proprio i neofascisti.
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