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Siria, 7 anni di conflitto: dalla guerra civile all’attacco occidentale

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Dalla sanguinosa repressione delle manifestazioni pro-democrazia, passando attraverso gli attacchi chimici imputati al regime dei Damasco, fino all’intervento congiunto di Stati Uniti, Francia e Regno Unito: sono trascorsi sette anni dall’inizio del conflitto in Siria e il Paese sembra allontanarsi sempre di più dalla soluzione ‘diplomatica’ e politica tanto richiesta dalla comunità internazionale. Nel frattempo, sono morte oltre 350mila persone e milioni di siriani sono stati costretti alla fuga.

È il 15 marzo 2011, sulla scia delle primavere arabe che hanno interessato il Medioriente, quando un movimento di protesta scuote la Siria, paese governato da oltre 40 anni dalla famiglia Assad: Bashar era succeduto nel 2000 al padre Hafez. Piccole manifestazioni vengono organizzate a Damasco ma sono duramente represse. È però a Dera che il movimento a favore della democrazia prende corpo: a luglio un colonnello rifugiato in Turchia, Riyad al-Asaad, sunnita originario della Siria centro-settentrionale, crea l’Esercito siriano libero (Esl) composto principalmente da civili che imbracciano le armi per la prima volta e da disertori dell’esercito.

A marzo 2012 l’esercito prende il controllo della roccaforte dei ribelli a Homs, nel centro del Paese. Altre sanguinose operazioni vengono condotte ad Hama a seguito di grandi manifestazioni anti-regime. A luglio dello stesso anno, i ribelli lanciano la battaglia di Damasco: il governo mantiene il controllo della capitale ma le zone della sua periferia sono in mano gli insorti. A partire dal 2013, elicotteri e aerei del regime sganciano bombe e barili di esplosivo sui quartieri ribelli. Nell’aprile del 2013 il gruppo sciita libanese dichiara il suo impegno accanto ad Assad, membro della minoranza alawita, branca dello sciismo, e invia in Siria migliaia di combattenti. Anche l’Iran sciita scende in campo sostenendo finanziariamente e militarmente il regime e inviando ‘consiglieri militari’ e volontari: combattenti arrivano anche dall’Afghanistan e dal Pakistan.

Il 21 agosto 2013, il primo attacco chimico imputato al regime contro due zone ribelli alle porte di Damasco: circa 1.400 i morti secondo i dati forniti dagli Stati Uniti. Il regime smentisce ma l’allora presidente americano Barack Obama minaccia una risposta. Pur ammettendo che sia stata superata la cosiddetta ‘linea rossa’, Obama rinuncia però ad intervenire siglato con la Russia un accordo per smantellare l’arsenale chimico siriano.

Nel giugno 2014, dopo essersi scontrato sia con il regime sia con i ribelli, lo Stato islamico proclama il Califfato su gran parte dei territori siriani e in Iraq: Raqqa diventa la sua principale roccaforte. A settembre, una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti lancia, dall’Iraq, i primi attacchi contro l’Isis in Siria. A ottobre 2017 le Forze democratiche siriane (Sdf), guidate dalle milizie curde e sostenute dalla coalizione, riprendono il controllo di Raqqa dopo mesi di scontri. L’Isis perde la quasi totalità dei territori che aveva conquistato. Intanto, a partire dal 2013, altri gruppi jihadisti, tra cui il ramo siriano di Al Qaeda, avevano rafforzato le loro posizioni nel nord del Paese: ora controllano la maggior parte della provincia di Idlib (nord-ovest). Il 30 settembre 2015 la Russia inizia un’offensiva con raid aerei a sostegno delle truppe di Assad, allora in grande difficoltà. L’aiuto di Mosca darà nuova forza al regime: i ribelli subiranno una battuta d’arresto, perdendo Aleppo, seconda città del Paese, nel dicembre 2016.

A gennaio 2017, Mosca organizza con Teheran e Ankara, che sostiene i ribelli, i colloqui di pace tra regime e opposizione in Kazakistan: i negoziati sono paralleli a quelli tenuti dalle Nazioni Unite a Ginevra. Al momento, in entrambi i tavoli, non è stata ancor trovata una soluzione politica al conflitto. Ad aprile 2017 un nuovo attacco chimico con gas sarin, imputato ancora al regime, uccide 80 civili a Khan Cheikhoun, un’area controllata dai ribelli e jihadisti nella provincia di Idlib: in risposta il presidente americano Donald Trump ordina raid contro la base aerea siriana di Al-Chaayrate.

Il 20 gennaio 2018 si apre un nuovo fronte: la Turchia, che aveva già condotto una prima operazione nel nord della Siria, lancia con i ribelli siriani un’offensiva contro la milizia curda Unità di protezione del popolo (Ypg), braccio armato dell’Sdf e considerata un’organizzazione terroristica da Ankara. Il 18 marzo le forze turche conquistano Afrin, cacciando l’Ypg dall’enclave. Il 18 febbraio 2018 il regime di Damasco lancia a sua volta un’offensiva senza precedenti prima aerea, e poi terrestre, contro l’enclave ribelle nella regione del Ghouta orientale, vicino Damasco: al momento si contano 1.700 morti. Grazie a bombardamenti devastanti, e ad accordi di evacuazione mediati dalla Russia, il regime riesce a rinconquistare terreno nell’ultima roccaforte degli insorti alle porte della capitale.

Si arriva al 7 aprile 2018 quando un presunto attacco con armi chimiche su Douma, principale città del Goutha orientale controllata dai ribelli, provoca la morte di almeno 70 persone, tra cui molti bambini. La comunità internazionale punta il dito contro il regime, che nega: Trump definisce ‘mostruosi’ gli attacchi chimici di Damasco e minaccia una risposta. Il 14 aprile Stati Uniti, Francia e Regno Unito lanciano attacchi mirati contro obiettivi militari del governo di Assad

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