Bere o affogare. Ormai per il governo non c’è alternativa: se crisi dev’essere, che sia veloce e il meno dolorosa possibile. Se invece l’alleanza Lega-M5S ha reali possibilità di andare avanti, serve immediatamente un cambio di passo e una strategia per trovare i 23 miliardi utili a scongiurare un catastrofico aumento dell’Iva, oltre al resto delle risorse economiche per sviluppare le ordinarie politiche di un Paese che ha necessità di risollevarsi, visto che la crescita è ancora troppo lenta e bassa.
In politica, però, la soluzione non è mai bianca o nera, ma assume svariate tonalità. E si intreccia con variabili incalcolabili, come le stime della Commissione europea, che traccia un quadro nefasto per Roma con una possibile manovra di minimo 30 miliardi da realizzare entro il prossimo 31 dicembre. Al di là delle repliche dure e piccate, sia il Carroccio che i Cinquestelle sanno che la realtà dei fatti non è poi così lontana dalle previsioni di Bruxelles. Certo, in tutte e due le forze politiche di maggioranza è sedimentata l’idea che le stime abbiano una matrice politica, proprio a ridosso del voto che potrebbe smontare gli equilibri delle istituzioni europee, ma questo non può indurre a snobbare la situazione. Anzi. Le voci di dentro della politica romana suggeriscono di non scartare l’ipotesi che dopo il risultato elettorale del prossimo 26 maggio, a Palazzo Chigi possa sedere un tecnico. Questo perché – semplificando all’osso un ragionamento molto complesso – il braccio di ferro tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, non appare più un semplice gioco delle parti per contendersi voti utili, ma assomiglia sempre di più a una strategia propedeutica a trovare un ‘colpevole’ su cui addossare le colpe della caduta del governo ‘del cambiamento’.
È probabile, dunque, che da qui al giorno delle urne lo scontro si accenda oltre ogni livello di guardia, tanto da far sembrare il caso Siri un diverbio da bar sport. Il capo politico pentastellato sembra aver puntato molto sulla ‘questione morale’, antico cavallo di battaglia M5S, grazie anche alla coincidenza temporale di inchieste della magistratura che attraggono l’attenzione dei cittadini. Il problema è che Salvini non può e non vuole abdicare alla natura garantista della sua area di appartenenza. Ma non è l’unica freccia nell’arco di Di Maio, che rispolvererà ancora l’insoddisfazione per l’esiguo numero di rimpatri di immigrati irregolari avvenuti da quando c’è il segretario della Lega al Viminale. Allo stesso modo, il segretario della Lega – bisbigliano i corridoi romani – potrebbe rinfacciare all’alleato calcoli “sbagliati” sul reddito di cittadinanza, strumento che avrebbe dovuto aiutare (inizialmente) una platea di 5 milioni di italiani in condizione di povertà, ma finora è stato utilizzato solo da un quinto degli aventi diritto. Oltretutto con la riforma dei Centri per l’impiego ancora in fase embrionale. In poche parole, colpendosi a vicenda i nervi scoperti, la lite potrebbe trasformarsi presto in rissa (politica, ovviamente). E chi ne prenderà di più, dovrà anche sopportare l’onta di vedersi spegnere il cerino del governo tra le mani.
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