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Di Maio ‘offre’ a Salvini passo indietro sulla premiership per sbloccare l’impasse

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Se il problema sono io, allora “sono disposto a fare un passo indietro“. La disponibilità offerta da Luigi Di Maio a rinunciare alla premiership potrebbe sbloccare anche l’ultimo impasse alla nascita del governo tra Movimento 5 Stelle e Lega. Il giovane leader pentastellato mette il programma (che definisce “il nostro vero leader”) davanti alle sue ambizioni personali ed esulta via social perché le istanze del M5S finiranno nei dossier del prossimo esecutivo. Eppure la bocca per quell’ufficio con vista sul cortile di Palazzo Chigi ce l’aveva fatta, anche se pubblicamente non ne ha mai voluto parlare nell’ultimo periodo, magari per non mettere in difficoltà il suo attuale compagno di viaggio che si è detto indisponibile a fare il ministro di un governo Di Maio, il quale gli aveva già fatto pesare i rapporti di forza: al tavolo si è presentato, infatti, con il suo 32,7% di consensi ottenuto alle ultime elezioni (oltre 300 parlamentari e 11 milioni di voti reali), mentre Salvini, che in un primo momento aveva provato a parlare a nome del 37% del centrodestra, nel momento clou della trattativa si è ritrovato da solo con il suo 17 dopo che gli alleati Berlusconi e Meloni gli avevano sfilato da sotto al naso la leadership della coalizione.

Anche a livello mediatico è schiacciante l’esito in favore dei gialli, che si sono ulteriormente rafforzati con il “plebiscito” ottenuto alle consultazioni online sul ‘contratto’ di governo, attraverso la piattaforma Rousseau: oltre il 94% dei votanti, 42.274 iscritti, hanno votato sì e soltanto 2.522 si sono opposti. Tanto che lo stesso leader del Movimento si è mostrato sorridente e rilassato in diretta Facebook, con parole chiave nuove rispetto all’ultimo anno. “Le 5 Stelle andranno al governo, partendo dall’acqua pubblica”, ha detto rispolverando uno dei cavalli di battaglia della comunicazione originaria.

Un’immagine che plasticamente cozza con quella del suo contraente, Salvini, impegnato ancora una volta a ‘duellare’ a distanza con l’alleato Berlusconi, che tra un appuntamento di campagna elettorale e l’altro, ha recapitato all’indirizzo di via Bellerio qualche siluro d’avvertimento. Il Cav non se le tiene più per sé, ora che ha letto il programma di governo giallo-verde ha la certezza che la legislatura sarà impegnata solo da temi che interessano i Cinquestelle, mentre le istanze del centrodestra sono rimaste in secondo piano o annacquate da tecnicismi. La flat tax su cui aveva costruito la campagna delle ultime politiche non è quella decisa ad Arcore dopo Natale: la foto sotto l’albero con i tre leader è un ricordo sbiadito.

Il presidente di Forza Italia, però, è convinto che il governo M5S-Lega non possa durare a lungo e, dunque, le elezioni non sono lontane, come logica, invece, suggerirebbe in questa fase. La politica è un’altra cosa, dove spesso la razionalità è solo un esercizio dello spirito mentre tattici e strateghi ricalibrano i loro obiettivi. Il Cav dopo più di 20 anni vissuti da protagonisti lo ha imparato (a sue spese) e ogni bordata che lancia su via Bellerio ha una portata media, che faccia male ma non ‘uccida’ il legame storico.

La prossima mossa potrebbe essere sferrata lunedì, quando Di Maio e Salvini un nome (condiviso) al Quirinale lo dovranno comunque portare, e del resto il leader M5S spera che il nuovo premier possa giurare entro la fine della prossima settimana.  Al momento l’orientamento è quello su una figura terza, indicata sì dai pentastellati ma digeribile anche dal Carroccio. Astenersi tecnici, fanno sapere da entrambi gli schieramenti in campo per questa partita: serve un top player politico, con un curriculum nazionale e internazionale di altissimo profilo, un pedigree economico e una cultura delle istituzioni. Praticamente l’identikit dell’uomo perfetto, ma che al momento non sembra esistere in Italia. I due attori protagonisti del nuovo governo ne discuteranno ancora, molto probabilmente a Milano ma non è escluso che possano incontrarsi direttamente a Roma, in serata, dopo gli impegni politici.

In particolare quelli di Salvini, che girerà tra i gazebo allestiti dalla Lega per raccogliere il parere di cittadini, militanti e simpatizzanti sull’accordo con gli stellati. Se anche i lùmbard riceveranno il via libera del proprio popolo, la trattativa finale, quella sul nome del premier, subirà un’accelerazione improvvisa e determinante. Qualcuno, sottovoce, suggerisce comunque di non cassare Di Maio dalla lista dei ‘papabili’, nella quale campeggia ancora Giuseppe Conte nelle prime righe. Se proprio i due leader non riusciranno a mettersi d’accordo, è possibile che chiedano al Colle di dirimere la questione, lasciando scegliere a Mattarella la personalità a cui affidare la guida dell’esecutivo. Sarebbe comunque una soluzione estrema, al limite della ‘disperazione’. E di sicuro un pessimo biglietto da visita per il “governo del cambiamento”.
 

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