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La spiaggia libera sta sparendo: troppi stabilimenti sul litorale italiano

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La questione non è nuova: d’estate trovare una spiaggia libera in Italia è un’impresa. La maggior parte dei litorali è colonizzata dagli stabilimenti balneari, nonostante gli 8mila chilometri di costa, Sicilia e Sardegna e le oltre 800 isole minori comprese. Le poche spiagge libere che ci sono, poi, spesso sono in tratti di ‘serie B’, vicino a foci di fiumi, fossi o fognature.

Legambiente stima che oltre il 60% delle coste sabbiose sia occupato da stabilimenti, in alcuni comuni si arriva anche al 90%: 19,2 milioni di metri quadri di spiagge sottratti alla libera fruizione. E la beffa per i cittadini sarebbe duplice, perchè, oltre a dover spesso pagare per accedere al mare, non vedono poi rimpinguarsi nemmeno le casse pubbliche. A fronte delle 52.619 concessioni demaniali marittime, di cui 27.335 per uso turistico ricreativo, per un giro d’affari che secondo Nomisma è di 15 miliardi di euro annui, nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni.

In un gioiello come Mondello, poco più di un chilometro e mezzo di sabbia finissima, il 90% è in concessione e i lidi che consentono il passaggio alla battigia sono rari. A Santa Margherita Ligure gli spazi liberi sono solo l’11% del totale. In Romagna, a Rimini, non si raggiunge nemmeno il 10% di spiagge libere. A Forte dei Marmi sono 100 gli stabilimenti su circa 5 km di costa. E capita spesso che venga impedito l’accesso al mare a chi non è cliente, con veri e propri muri lunghi chilometri come sul litorale di Ostia. Per questo Legambiente chiede una legge quadro nazionale perchè almeno il 60% delle spiagge venga lasciato alla libera fruizione, premiando la qualità nelle assegnazioni in concessione, definendo canoni adeguati e predisponendo controlli sistematici.

Per l’assenza di un provvedimento che fissi quale quota di spiaggia debba essere mantenuta libera, alcune Regioni sono intervenute con risultati altalenanti. Tra gli esempi virtuosi la Puglia, che ha fissato con una legge regionale una percentuale di spiagge libere proprio del 60%, rispetto al 40% da poter dare in concessione; la Sardegna ha approvato linee guida con un minimo del 60% di spiaggia libera, fino all’80% in certi tratti. Il Lazio ha posto l’asticella al 50% e i Comuni non in regola non potranno più rilasciare nuove concessioni. Tra le situazioni negative, invece, l’Emilia-Romagna, che ha imposto un limite minimo appena del 20%, ma solo nei pochi tratti dominati da dune e zone umide viene rispettata la legge, denuncia Legambiente. Le percentuali rimangono molto basse anche in Molise (30%), in Calabria (30%), nelle Marche (25%), mentre in Campania e Abruzzo è solo del 20%. In 5 regioni (Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto), poi, non esiste nessuna norma che specifichi una percentuale minima di costa destinata alle spiagge libere o libere attrezzate.

Le entrate per le concessioni sono spesso risibili, se si considera che in una regione come la Sicilia nel 2016 hanno fruttato appena 81.491 euro. Nel 2009 l’Ue ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia chiedendo la messa a gara delle concessioni, visto che la direttiva Bolkestein del 2006 prevede la possibilità anche per operatori di altri Paesi dell’Ue di partecipare ai bandi pubblici. L’Italia ha invece disposto la proroga automatica delle concessioni fino al 31 dicembre 2020, ma la Corte di giustizia Ue l’ha bocciata con una sentenza del luglio 2016. Se si guarda invece ai nostri vicini oltre confine, in Francia la durata delle concessioni non supera i 12 anni, e l’80% della lunghezza e l’80% della superficie dei lidi devono essere liberi da costruzioni per sei mesi l’anno; gli stabilimenti vanno quindi montati e poi smontati. La Croazia, invece, tra i vari interventi che ha messo in atto, ha previsto anche il divieto di costruire qualsiasi opera, dai chioschi ai ristoranti, per una distanza minima di 1 km, stabilendo una continua e unica ‘Area protetta costiera’ di alto valore naturale, culturale e storico.

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