Due anni e sei mesi di carcere. È la richiesta arrivata dal pg Vincenzo Saveriano nel processo d’appello all’ex sindaco di Roma Ignazio Marino imputato per le vicende scontrini e onlus nelle quali risponde di peculato, falso e truffa.
Mentre è stato assolto per la vicenda della onlus, l’accusa ha chiesto la condanna per il caso delle cene pagate da Marino con la carta di credito del Campidoglio (con l’esclusione di due cene che l’ex sindaco aveva in programma nella sua agenda). Sono 56 le cene sospette, consumate tra luglio del 2013 e giugno del 2015, per complessivi 12.700 euro pagati con la carta di credito in dotazione all’allora primo cittadino ma consumate, secondo gli inquirenti, “generalmente nei giorni festivi e prefestivi, con commensali di sua elezione, comunque la difformi della funzione di rappresentanza dell’ente”. I ristoranti preferiti dall’allora sindaco erano a Roma, ma anche in altre città come Milano, Genova, Firenze e Torino. Dopo aver saputo delle indagini a suo carico il sindaco aveva ‘restituito’ attraverso una donazione al Comune, 20mila euro. Marino è anche imputato per la gestione della onlus Immagine, della quale in passato è stato presidente. La struttura, che si occupava di aiuti sanitari a Paesi in via di sviluppo, secondo le accuse avrebbe messo in atto delle assunzioni fittizie tra il 2012 e il 2014, con soggetti inesistenti truffando l’Inps.
“Vorrei affermare con grande chiarezza che mai nella mia vita e nelle miei funzioni da sindaco ho utilizzato denaro pubblico per motivi personali”. Così Ignazio Marino nelle dichiarazioni spontanee durante il processo d’appello a suo carico. L’ex sindaco di Roma, assolto da tutte le accuse in primo grado, ricorda di aver donato nel 2014 diecimila euro del suo salario alla città, e di non aver mai chiesto rimborsi al Campidoglio neanche quando, cancellò una vacanza privata negli Stati Uniti trasformandola in incontri di lavoro con il presidente della Roma James Pallotta e il sindaco di New York Bill De Blasio.
Afferma di essere una persona trasparente: “Spontaneamente mi presentai in procura – spiega – e offrii a chi indagava su di me le chiavi della mia agenda elettronica”. Infine il chirurgo ricorda davanti alla corte di aver rinunciato allo stipendio da senatore ancora prima della sua elezione a primo cittadino, “lasciando oltre ottantamila euro nelle casse pubbliche”, e conclude: “Se sono un ladro, sono un ladro scemo e incapace di intendere e di volere”.