Spotify vale oltre 29 miliardi di dollari. È il prezzo che Wall Street ha assegnato alla celebre società per lo streaming musicale, che ha debuttato martedì sulla Borsa di New York. Il titolo ha toccato in apertura un massimo di 167,59 dollari per azione, con una capitalizzazione di 29,5 miliardi, contro il prezzo di riferimento di 132 dollari fissato ieri dal Nyse. Alla fine la società svedese ha chiuso le contrattazioni ripiegando leggermente, con un incremento del 12,89% a 149,01 dollari.
Spotify, che si presenta sul listino con il simbolo ‘SPOT’, ha fatto la scelta poco comune di quotarsi direttamente in Borsa, anziché di emettere nuovi titoli, consentendo ai suoi fondatori e investitori di mantenere il controllo e di tagliare drasticamente i costi dell’Ipo. Con la quotazione di Spotify, i co-fondatori della piattaforma di streaming Daniel Ek e Martin Lorentzon, rispettivamente di 35 e 48 anni, hanno messo in cascina una fortuna miliardaria. La quota del primo, pari al 9,2%, vale ora 2,8 miliardi di dollari, mentre il secondo, con il 12,2%, incassa in valore 3,7 miliardi.
L’esito è migliore di quello che si attendevano i mercati. Il prezzo di riferimento fissato da Wall Street valutava infatti Spotify 23,4 miliardi di dollari. La quotazione, aveva spiegato in un post sul sito della società Ek, “ci porta su un palco più grande”, ma allo stesso tempo “non cambia chi siamo, che cosa facciamo e come lo facciamo”. La piattaforma svedese, che ha contribuito a rendere lo streaming il metodo più popolare per ascoltare musica in molte parti del mondo, attualmente conta utenti mensili dichiarati per 159 milioni, inclusi 71 milioni di sottoscrittori a pagamento. Quest’anno l’obiettivo è aumentare i fruitori a pagamento del servizio ‘Premium’ tra il 30% e il 36%. Spotify ha avvertito la scorsa settimana che la crescita dei ricavi probabilmente rallenterà nel 2018, ma anche la perdita annuale dovrebbe essere più contenuta. Dal 2008 la società non ha mai prodotto un utile annuale.
Negli Stati Uniti, il più grande mercato musicale, le entrate da musica registrata in studio sono cresciute del 16,5% nel 2017. Si tratta della prima volta dal 1999, agli albori della musica online, che il business mostra un incremento per il secondo anno di fila. John Tinker, analista di Gabelli and Co., ha dato il via alle valutazioni su Spotify consigliando né di acquistare né di vendere, con una valutazione neutrale. “Apple sta crescendo più velocemente di Spotify e ha un modello di business diverso in base al quale la musica non deve essere redditizia su base ‘standalone'”, ha spiegato l’analista.