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Elezioni, la Chiesa non si schiera ma sa chi non votare

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Un partito di riferimento per la Chiesa italiana non esiste più e l’elettorato cattolico si è distribuito su tutto l’arco elettorale. C’è il ‘Popolo della Famiglia’ di Mario Adinolfi, che è una costola del Family Day, ma raccoglie le preferenze dei più conservatori, collocandosi in area di centrodestra: lo stesso Matteo Salvini ha preso parte a eventi legati al Family Day.

Il tema dell’accoglienza dei migranti, però, in cui moltissimi cattolici sono coinvolti, in campagna elettorale pesa. Tanto i cattolici si sono ‘polverizzati’ tra i diversi partiti, che il cardinale Camillo Ruini – presidente dei vescovi italiani dal 1991 al 2007 – all’inizio del mese si era spinto a dire che in politica c’è “una fase nuova in cui i cattolici rischiano l’irrilevanza”.

Intanto la Cei si appella a non disertare le urne, nonostante il clima di sfiducia che dilaga nel Paese. “Se io domenica mattina vado a votare – confessa il presidente Gualtiero Bassetti – è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda tutti noi. Siamo un ‘noi’ di cui dobbiamo tenere conto”. La sfiducia che spinge a non votare “è come un corpo colpito dalla paralisi: tu rifiuti di compiere un gesto che rispetta la tua libertà ma al tempo stesso è anche di totale responsabilità verso gli altri”.

Quello che la Cei proprio non sopporta sono i toni troppo urlati con cui è stata condotta la campagna: “Io ho sempre richiamato a moderare i toni, ho sempre parlato di ricucire, ho sempre detto di non urlarle le cose perché la verità non ha bisogno di essere urlata”, afferma Bassetti.

Tra le parole e i gesti eclatanti, di certo non è passato inosservato alla Cei e al Vaticano quello di Matteo Salvini, che ha giurato di rimpatriare “tutti i clandestini” con il Vangelo e il Rosario in mano. Lo stesso Vangelo di Matteo, però, recita: ‘Ero straniero e mi avete accolto, ero forestiero e mi avete ospitato’.

Vista la mossa di Salvini, il segretario della Cei Nunzio Galantino non se l’è fatta andare giù e, pur non facendo nomi, ha etichettato la campagna elettorale fatta sulla pelle dei migranti come “sciacallaggio pseudo-polico”: “Dopo che avrete raccattato quei quattro voti in più – ha detto accogliendo 113 profughi arrivati a Roma con i corridoi umanitari -, per favore, andate un po’ in giro per l’Italia, guardate negli occhi queste persone e ditemi se potrete continuare a speculare ancora sulla storia drammatica di queste persone”.

Il Vaticano durante questa tornata elettorale e quella precedente, del 2013, non si è espresso. Durante la campagna elettorale per le elezioni di cinque anni fa, ci furono le dimissioni a sorpresa di Benedetto XVI e tra le mura leonine le priorità erano altre. Sono note le simpatie dei Sacri Palazzi per Paolo Gentiloni, cattolico, ecologista e discendente di Vincenzo Ottorino Gentiloni – presidente dell’Unione elettorale cattolica italiana che nel 1913 strinse con i giolittiani il ‘Patto Gentiloni’, per superare il ‘non expedit’ di Pio IX e far tornare i fedeli cattolici a partecipare all’attività politica italiana.

Ma non è solo questo che avvicina Gentiloni al Vaticano: è anche un’agenda geopolitica che, da più lati, ha incrociato quella di Papa Francesco. Non è inviso , d’altra parte, neanche il nome fatto da Berlusconi di Antonio Tajani, che ultimamente ha incontrato più volte Bergoglio. 

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